La ricerca interiore può avere effetti sulla salute? Si tratta di una domanda che molti di noi si pongono quotidianamente.
Credo che la salute sia strettamente correlata a chi siamo e come stiamo interiormente. Per questo non posso fare a meno di pensare che, nella via del benessere (cioè dello “stare bene” in ogni senso), sia necessaria anche una ricerca che vada alle radici della nostra esistenza.
Padre Thomas Keating era un monaco benedettino, grande maestro di meditazione e preghiera contemplativa, morto nel 2018, e in uno dei suoi incontri con il Dalai Lama in cui venivano discussi temi riguardanti la meditazione, la contemplazione e la salute, ha affermato che secondo lui la correlazione è ovvia:
La salute umana è una relazione con la realtà ultima, perché la fonte del nostro essere ci sostiene anche, sempre. Ovviamente, vivere in accordo con la nostra natura interiore genererà salute.
padre Thomas Keating in un dialogo col Dalai Lama (2005). Fonte: La Meditazione come Medicina, Dalai Lama, J. Kabat-Zinn, R. J. Davidson, RCS 2019, pag. 95
La fiducia che “la fonte del nostro essere” ci possa sostenere sempre, cioè non ci abbandoni mai, si può chiamare anche fede.
Gli incontri tra padre Keating e il Dalai Lama ci ricordano che questo concetto appartiene a tutte le forme di credo e pertanto specifica e identificativa della realtà umana.
Quando ce ne dimentichiamo, e ci concentriamo sul nostro “fare” quotidiano, in realtà stiamo dimenticando noi stessi. Allora prima o poi anche il corpo ce lo ricorderà con qualche tipo di dolore o sofferenza. Fermandoci a questo la sensazione sarà di avere, e di essere, un corpo inadeguato e malato.
La salvezza starà nel tonare a noi stessi, all’ascolto e alla ricerca di quella fonte, dimenticando il fare e tornando all’essere, abbandonandosi finalmente alla Vita, a Dio, nel rilassamento interiore che deriva dalla fede.
Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
Salmo 62
Esistono diverse modalità per far questo, basate sull’esperienza, sul credo e sulla cultura. E’ ormai evidente che la meditazione è una pratica che predispone in modo efficace a questo atteggiamento.
Personalmente trovo la pratica meditativa un ottimo punto di partenza per la ricerca interiore. Ci permette di rilassarci, non solo rimanendo vigili, ma anche aumentando la nostra consapevolezza del momento attuale e di noi stessi. Durante la pratica si allentano i pensieri e si intraprende un ascolto, che può diventare molto profondo. Il silenzio diventa maestro.
Niente descrive bene Dio come il silenzio.
Meister Eckhart
A quel punto il fare diventa superfluo, e l’essere progressivamente si fa più presente, in un’esperienza di appartenenza a qualcosa di più grande di noi. Il senso di pace si fa reale, la compassione e la serenità che scopriamo in quella dimensione portano spesso a chiedere: “chi sono?”, “cos’è questa coscienza che va oltre il mio corpo?”, “cos’è questo universo, questa vita, questo grande corpo, di cui mi sento parte?”, “da dove viene questa sensazione di essere amato e di amare tutto ciò che fa parte della vita?”, e così via. La ricerca interiore così rinasce da domande che sorgono spontaneamente, in un’esperienza viva del tutto personale.
L’anima si è un pochino liberata e abbiamo allentato i legami con le cose di questo mondo, in un certo senso “impoverendoci”, un po’ come s. Francesco, il poverello di Assisi, che nell’incontro con Dio ha lasciato (lui davvero!) ogni attaccamento alle cose materiali.
Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Vangelo di Matteo 5, 3
La maggior parte di noi, in giovinezza, ha vissuto questi aspetti come concetti calati dall’alto, quindi dai genitori, dal catechismo e dalla pratica religiosa, andando spesso incontro a ribellione e rigetto. Questo probabilmente perché non sentivamo nostre quelle domande, e quindi non potevamo capire le risposte, oppure queste ultime non erano davvero portate ad un livello di vita reale, nemmeno da chi ce le proponeva.
Inoltre abbiamo subito per molti secoli una immagine di Dio alterata, che ha portato a negarlo con forza nella nostra cultura:
“Contro questa immagine oppressiva di un Dio che punisce con crudeltà estrema, di un Dio perverso […] che schiaccia l’uomo , e sta sempre lì nel cielo col dito puntato contro di noi per additare ogni nostro errore e punirlo in modo implacabile […] si è sviluppata in Europa, specialmente negli ultimi due secoli, una ateologia radicale, una profonda negazione di Dio”.
Marco Guzzi, Yoga e preghiera cristiana, ed. Paoline, 2009
Le domande spontanee, che sin da bambini abbiamo posto agli adulti, difficilmente trovavano risposte credibili e concrete, che spesso venivano pure confutate da ciò che si studiava a scuola (ad esempio in storia o in scienze). Mia figlia di 7 anni, per esempio, solo negli ultimi giorni mi ha posto domande come: “perché Dio ci ha creato?”, “chi ha creato Dio?”, “perché moriamo?”. Ovviamente ho cercato di instaurare con lei un dialogo, portando ciò in cui credo, ma allo stesso tempo stimolando la sua curiosità. Quello che mi è sembrato più importante per lei è stato il sentire che io quelle risposte le ho dentro, anche se ammettevo l’enorme mistero che celano. Altro è parlare con il mio figlio maggiore di quasi 12 anni! Per lui è importante ragionare e sentire che può comprendere, che può e deve usare il proprio cuore e la propria mente per raggiungere le vette della profondità interiore. Nel frattempo sa che può contare su di me come colonna sicura sulla quale appoggiarsi, colonna che prima o poi distruggerà per innalzare la propria.
Soprattutto oggi è necessaria un’esperienza molto personale di fede e di ricerca. Lo è sempre stato, ma la nostra epoca ha messo in crisi tutte le religioni e le culture e c’è bisogno di un salto di qualità. Le giovani generazioni, come dice Marco Guzzi, hanno una “radicalità naturale”, che le porta a mettere in discussione qualsiasi concetto per poter andare alla radice delle cose. Aspetto che va sicuramente sostenuto e curato da noi adulti.
Non possiamo quindi più accontentarci di quanto ci viene proposto da voci esterne, anche se la predicazione, la Parola tramandata, e l’annuncio restano pietre fondanti del percorso, senza le quali nessuno sarebbe in grado di raggiungere certi processi, conoscenze, o stati interiori.
Possiamo prenderci cura gli uni degli altri, chi ha più esperienza è guida e aiuto, ma la vera guarigione deve avvenire nel cuore di ognuno, non può essere portata dall’esterno. Si tratta quindi di un percorso che non è fattibile da soli, ma che allo stesso tempo richiede un lavoro personale.
Con la meditazione che diventa anche contemplazione, e se vogliamo preghiera, tutto il nostro essere si predispone alla guarigione. E’ ben dimostrato che praticare la meditazione, la contemplazione e la preghiera, porta a dei benefici psichici e fisici. Ad esempio si riscontra una riduzione dell’ansia e della depressione (entrambe molto diffuse nella popolazione), migliora la tolleranza a ciò che provoca stress, migliorano alcune malattie croniche e sono più efficaci le terapie.
La ricerca interiore è quindi, oltre che un gesto d’amore verso noi stessi e un cammino verso la Verità, un vero e proprio atto di salute.
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