di seguito l’invito per due interessanti incontri gratuiti che si terranno nei prossimi giorni. Il primo sul problema delle dipendenze da gioco (17 aprile, a Rimini), il secondo sul tema dell’alimentazione (16 aprile, a Villa Verucchio).
Un caro saluto
dott. Pier Luigi Masini
Che cosa succede quando il gioco perde la sua componente di spontaneità, di condivisione e di divertimento? Il Gioco d’Azzardo è un fenomeno sociale e culturale dagli impatti devastanti sul tessuto sociale, economico, relazionale, affettivo, di cui ancora tardiamo a comprendere la portata presente e futura. Cosa fare? Come proteggersi?
Ne parliamo mercoledì 17 aprile insieme a Marco Dotti, giornalista e docente presso l’Università di Pavia e a Chiara Pracucci, psicologa e psicoterapeuta.
Vi aspettiamo alle 20.30 presso la Sala Manzoni della Diocesi di Rimini, in Via IV Novembre 37.
La serata è organizzata dalla “Rete GAP Rimini, a contrasto del Gioco d’Azzardo Patologico”. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
Il Dipartimento di Sanità Pubblica presenta un evento di promozione della salute, volto ad implementare stili di vita sani che consentano ai cittadini di migliorare la propria alimentazione per mantenersi in salute e prevenire l’insorgenza di alcune malattie croniche come obesità, diabete e ipertensione.
L’evento nel territorio di Verucchio fa parte del ciclo di eventi gratuiti di promozione della salute, promossi nel Distretto di Rimini, organizzati dal Servizio Igiene e Sanità Pubblica con il patrocinio del comune di Verucchio e il coinvolgimento di alcune associazioni del territorio.
L’iniziativa viene organizzata in applicazione del Piano Regionale della Prevenzione 2021-2025, è rivolta a tutta la popolazione e si articola nell’ambito del ciclo di eventi gratuiti che si effettuano nel territorio della Valmarecchia suddivisi in due sezioni tematiche: “Il Carrello della salute” dedicato al tema della corretta alimentazione, e “Un passo alla volta” chepromuove i benefici dell’attività fisica e le opportunità che i parchi ci offrono per fare movimento.
L’incontro in programmazione dal titolo “Il CARRELLO DELLA SALUTE”, sarà condotto da dietisti, assistenti sanitari e infermieri del Dipartimento di Sanità Pubblica e si svolgerà presso la Sala Romagna Mia del Comune di Verucchio, 103 – Verucchio il 16 Aprile 2024 dalle 16.00 alle 18.00.
La partecipazione è libera e gratuita ed è consigliata l‘iscrizione agli incontri che può essere effettuata inviando una mail al Dipartimento di Sanità Pubblica scrivendo a: promosalute.rn@auslromagna.itindicando: nome, cognome, data di nascita, telefono e iniziativa alla quale si è interessati oppure telefonando al n. 334-3429196 dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 14.00 alle 16.00.
Ho letto questo libro con una certa voracità… Sarà perché la storia di Stefano Vitali mi ha colpito e interessato dal suo inizio, sarà perché è scritto in modo così scorrevole, ma credo soprattutto perché è raccontato col cuore aperto e con grande sincerità.
Stefano racconta la sua vita come lo farebbe ad un amico, al quale si confida sinceramente e senza timore di ammettere i propri difetti, le paure, o le umane mancanze di cui ha preso coscienza nel difficile percorso che lo ha visto protagonista.
È il racconto di un sopravvissuto, che ti prende per mano, ti dà del tu, e ti accompagna negli inferi che ha passato, per poi ricondurti in un’inaspettata risalita.
Ammetto che il mio interesse per la vicenda è dovuto anche al mio essere medico, al voler conoscere come una situazione disperata abbia potuto mutare favorevolmente in una guarigione. Il titolo di per sé già spiega tutto: la sua guarigione è un miracolo, non c’è dubbio. Però ogni miracolo avviene in modi e tempi diversi, e quello che ha interessato Stefano è particolare, perché non è la storia del paralitico che si alza dal lettuccio improvvisamente, ma di una vita che, presa coscienza di ciò che è, comincia a rialzarsi, nonostante la diagnosi e la malattia, quando ancora non c’è nessuna speranza di guarigione.
Questi sono i miracoli che mi interessano di più: se è vero che Sandra Sabattini ha interceduto per la causa di guarigione di Stefano, è anche vero che lui ha accolto questa enorme forza che si è riversata su di lui. Forza che ha avuto origine nelle preghiere di don Oreste Benzi e della sua Comunità Papa Giovanni XXIII e si è riflessa amplificandosi nello spirito della giovane, per poi canalizzarsi sul povero infermo.
Io credo che il miracolo sia avvenuto la notte in cui Stefano ha percepito che, nel poco tempo che sembrava rimanere a sua disposizione, poteva diventare lo Stefano più splendente e vivo che poteva essere. E questa vitalità era il segno di una guarigione interiore, che si manifestava nella forza di rialzarsi dal letto nonostante le precarissime condizioni fisiche, fino ad una maggior attenzione alle relazioni e ai piccoli gesti quotidiani. Senza che lui lo sapesse stava guarendo anche nel corpo. Si, perché il corpo, la psiche e lo spirito, non sono affatto separati, e lui lo sentiva già nei giorni successivi all’intervento chirurgico, quando l’angoscia sembrava ancora farla da padrone.
“Prese il sopravvento un atteggiamento di introversione che, anche a livello posturale, mi portò per il primo periodo postoperatorio ad assumere un’andatura incerta, ingobbita, quasi a difendere, a non mostrare al mondo la parte di me che non contenevo più. Il mio ripiegamento fisico, simbolicamente, rappresentava anche quello psicologico” (pag. 32).
A Stefano sarebbe bastata, però, questa guarigione interiore, non aveva nessuna pretesa o aspettativa di altro genere. E anche questo, credo, abbia giocato un ruolo nell’esito del suo percorso: si è abbandonato completamente alla vita, a prescindere dalle condizioni e dal tempo. D’altro canto se non iniziamo a guarire ora, quando lo faremo? Non è forse adesso il momento di farlo? Altrimenti, questo adesso, cos’è, un posto in cui possiamo lasciar spazio alla morte?
Quindi anch’io posso iniziare a guarire ora? O per farlo si deve proprio passare per questo ripidissimo calvario? Provocatoriamente (e con rispetto per chi è affetto da qualche difficile condizione di salute) potrei dire che non tutti hanno la “fortuna” di ammalarsi così gravemente… ma intanto posso iniziare a guarire lo stesso? Perché anch’io voglio vivere al massimo delle mia potenzialità ogni piccolo momento, ogni relazione, ogni gesto, sentire continuamente “la mia voglia di rimettermi in gioco”, “vivere quel tempo, qualunque sia, giocando in attacco” e di “indossare il mio sorriso più bello” (da pag. 43). La storia di Stefano mi fa venir voglia di farlo subito, e in ogni istante.
Quando ci si accorge che il tempo a nostra disposizione non è infinito, allora si possono prendere due strade: lasciarsi andare allo sconforto, alla disperazione, alla rabbia o alla paura e spegnersi lentamente (quanti ne ho visti!), o vivere al massimo delle nostre potenzialità fosse anche consumandosi come un cerino, ma generando un forte lampo di luce. Il fatto che Stefano abbia scelto la seconda, quando non c’era nessuna speranza di guarigione, mi fa pensare che questo possa valere anche per ogni malato, come per ognuno di noi in fondo, in ogni momento, fino all’ultimo: cercare il senso in ogni piccolo gesto, generare speranza, rigenerare le proprie relazioni, non lasciarsi andare mai.
Stefano racconta anche tutta la fatica e il dolore dell’essere ammalato. Il corpo martoriato da un atto chirurgico estremo, la psiche devastata da una diagnosi di “game over” (pag. 42), le relazioni che cambiano…
Un altro grande insegnamento che ho trovato in questa storia: rimettersi in discussione, trarre dal buio una luce.
“La malattia, violenta e improvvisa, mi aveva tolto dalla comodità dell’abitudine, facendomi riflettere sul fatto che nulla può essere dato per scontato, tanto meno le relazioni. Per relazionarsi davvero con qualcuno, non puoi mettere il pilota automatico, devi impegnarti al confronto. Quante volte invece l’avevo fatto… […] arrivai anche a pensare che dopo tutto fosse per me una buona occasione, […] mi fece aprire gli occhi su tanti particolari delle persone a me care, che fino al giorno prima non avevo mai visto” (pag. 44-45).
Poi parla del rapporto coi medici e il personale sanitario, la vita da malato oncologico, gli sguardi degli altri malati che incontrava… Stefano non si ferma al miracolo, continua a curarsi per anni, confidando anche nelle cure umane e richiamando l’importanza delle relazioni nell’ambiente di cura, provvedendo consigli anche per gli addetti ai lavori.
“Secondo la mia esperienza non esiste al mondo una persona che guarisca da sola, perché la guarigione è un mix di fattori particolari e diversi: la qualità delle cure mediche, le strumentazioni e le medicine, l’atteggiamento del paziente e, non ultimo, la capacità di instaurare un clima “curante” tra paziente, personale medico e struttura ospedaliera” (pag. 89).
Una grande domanda accompagna tutto il libro: “Perché proprio a me?”. La risposta sembra stare nella fede che Stefano non abbandona mai, cercando sempre il senso di ogni evento all’interno di una visione più grande. Ma la consapevolezza del miracolo arriva solo dopo molto tempo dall’effettiva guarigione e leggendo il diario di Sandra Sabattini comprende il nesso tra lei, il miracolo, e lui: “dire sempre di si”, mettersi al servizio della vita, in qualsiasi situazione.
Si potrebbe credere che la conclusione sia scontata: si tratta ovviamente di un “lieto fine”, ma questa storia invece ci stupisce ancora, Stefano è messo alla prova fino all’ultima pagina, quando la sua vita prende una svolta inaspettata (da lui per primo) e sembra rinascere un’altra volta, anche se sono ormai passati anni dalla sua guarigione. Il suo percorso lo porterà nella lontanissima Africa, dove si troverà in un altro punto estremo dal quale risalire.
“Il miracolo non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza” ha detto Stefano presentando il suo libro (https://youtu.be/VfSNGDe3NQE).
Stefano Vitali è nato a Rimini, ha 52 anni e insieme alla moglie Lolli è responsabile di una delle case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Dal 1994 al 1999 è stato segretario personale di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità. Nel 1996 ha intrapreso la sua carriera politica presso l’amministrazione comunale di Rimini come assessore, poi dal 2009 al 2014 è stato Presidente della Provincia di Rimini. Nel 2007 si è ammalato di cancro con una prognosi apparsa subito infausta, ma inspiegabilmente nei mesi successivi guarisce totalmente. La sua guarigione è stata riconosciuta dalla Chiesa cattolica come un miracolo attribuito a Sandra Sabbatini, una giovane riminese discepola spirituale di don Benzi deceduta nel 1984, a soli 22 anni, per un incidente stradale, che per questo viene proclamata beata.
“Oncologia Integrata: tra la Medicina di Precisione e la Medicina della Persona”
Nella cura oncologica è sempre più evidente la necessità, ma anche l’opportunità, di collaborare tra varie figure professionali con un fine comune, che è la cura della persona. Se da un lato la “medicina di precisione” mira a colpire in maniera sempre più esatta e selettiva il tessuto o l’organo colpito dalla malattia, la “medicina della persona” si occupa dell’infinito mondo in cui tutto questo sta avvenendo: l’essere umano nella sua interezza, con la sua storia e le sue peculiari caratteristiche.
Ecco l’oncologia integrata: non più solo medicina, non solo chemio o radioterapie, non solo chirurgia, ma anche attenzione agli aspetti psicologici, alla famiglia, all’alimentazione, insieme ad un’apertura ed integrazione con altri approcci terapeutici.
Convegno accreditato con n. 4 crediti ECM per Medici-Chirurghi, Farmacisti, Dietisti, Psicologi, Infermieri, Infermieri Pediatrici, Biologi.
Dal 12 febbraio al 27 febbraio il CEIS e la Biblioteca Gambalunga invitano a riflettere sull’eredità del “laboratorio di esperienze educative” fondato a Rimini da Margherita Zoebeli
Tra gli ospiti, Romano Màdera, Mariapia Veladiano, Franco la Cecla
“L’educazione è capace di cambiare il mondo”, scriveva Margherita Zoebeli, la “professoressa dei bambini liberi”, che nel 1946 ha dato vita a un villaggio di baracche militari per soccorrere Rimini, città che la guerra aveva ridotto a un cumulo di macerie.
Una “casa” dell’infanzia e un vivace laboratorio di esperienze pedagogiche ed educative, dove da settant’anni si coltivano “grandi pensieri” attraverso un “metodo attivo” e che da centro sociale e di assistenza con una scuola materna e una casa per orfani, si è trasformato nel Centro Educativo Italo Svizzero (CEIS), dove giungono pedagogisti da tutta Europa, vengono trattati i primi casi di autismo e dislessia, nasce un punto di riferimento per l’integrazione dei bambini in situazione di handicap nella scuola.
A settant’anni di distanza, nell’ambito di un vasto programma di celebrazioni, il CEIS e la Fondazione Margherita Zoebeli, con la collaborazione della Biblioteca civica Gambalunga, propongono di trasformare l’occasione celebrativa in occasione di riflessione, dal tema e titolo “Quando educare cambia il mondo”. Il focus: i principi ispiratori dell’esperienza pedagogica ed educativa del CEIS, fondata sul “metodo attivo”, ovvero mossa da un’idea di educazione nel significato originario di aiutare l’individuo all’autonomia, al pensare da sé, per contribuire al bene comune, ciascuno secondo i propri talenti e le proprie potenzialità. Gli interlocutori: il filosofo Romano Màdera, la scrittrice Mariapia Veladiano, l’antropologo/architetto Franco La Cecla.
Le conversazioni avranno luogo presso la Sala del Giudizio al Museo della Città, alle ore 17.00, con ingresso libero e gratuto.
Venerdì 12 febbraio.Romano Màdera -” Formarsi al mestiere di vivere”
Sabato 20 febbraio. Mariapia Veladiano – “Coltivare la scuola”
Sabato 27 febbraio. Franco La Cecla – “Lo spazio che educa”