Oggi viene pubblicata sul sito di Darsi Pace una mia riflessione sulla professione medica e sulla cura scritta per DarsiSalute.
Curare gli altri è un atto sacro che richiede una ricerca ad ampio raggio, prima di tutto nella propria interiorità. Oggi non può prescindere dallo studio scientifico e tecnico, ma senza l’attenzione viva verso l’altro come persona il rischio è quello di curare una parte dimenticando il tutto.
Molto interessante questo articolo di Antonietta Valentini del gruppo di creatività culturale DarsiSalute del movimento Darsi Pace, di cui anch’io faccio parte.
La ricerca di un senso in ciò che viviamo, e nella malattia in particolare, è un passaggio fondamentale, che purtroppo la medicina scientifica non è in grado di affrontare. Altri approcci interpretativi e curativi in buona parte lo fanno, anche se talvolta appaiono un po’ forzati e, inevitabilmente, legati ad una visione filosofica o religiosa.
Credo che la ricerca di senso sia molto più importante dell’interpretazione della malattia. Il primo fornisce una direzione generale, il secondo un possibile metodo terapeutico che comunque va inteso all’interno del primo. Ma qual è questo “senso generale”? La salute ad ogni costo? L’efficienza della persona? Una durata della vita maggiore possibile? Nel caso della medicina scientifica (o “evidence based”, ovvero “basata sulle prove di efficacia”) il senso è di ridurre il più possibile il danno e la sofferenza, opponendosi ai processi patologici in corso. Noi di DarsiSalute crediamo che si possa ampliare la visuale mantenendo la scienficità e allo stesso tempo integrando ciò che non è scientificamente dimostrabile, ma che l’esperienza e il credo (personale e comune) ci dicono in merito alla nostra esistenza.
Bloccarsi totalmente in una visione scientifica senza allargare lo sguardo è un grosso limite per noi operatori sanitari, limite che si riflette anche sull’esperienza personale di malattia e di salute delle persone con cui veniamo in contatto. Non basta dire “lei ha questo e quello, quindi deve prendere questa medicina o essere sottoposta a quell’intervento”. Abbiamo la responsabilità di guardare negli occhi chi abbiamo di fronte e recepirne le domande più profonde. Questo non significa avere delle risposte, ma mettersi al fianco e cercare insieme.
Credo che l’approccio al momento presente, una continua ricerca di senso in ciò che viviamo e la cura basata sulla relazione, uniti alle migliori terapie su base scientifica, possano essere il metodo più efficace per un approccio alla persona integrato e totale.
Condivido l’articolo di Iside Fontana di DarsiSalute, pubblicato recentemente sul sito Darsi Pace. Continua la sua esposizione relativa alla proposta di Ivan Cavicchi per gli “Stati Generali della Medicina”.
Di seguito un mio commento all’articolo.
In effetti il titolo potrebbe far pensare che sia solo il medico ad essere in crisi! Ovviamente sappiamo bene che non è così, e la crisi del medico (e della medicina) fa parte della grade crisi umana che stiamo vivendo. All’interno di tal contesto non poteva che essere questa l’evoluzione della medicina: spaventata, chiusa nei suoi schemi razionali, difesa, in una parola… alienata. Ci sono tanti piccoli segni di speranza che ci fanno sperare in un’evoluzione di questo importante ambito umano: il documento di Cavicchi citato nell’articolo ne è un’esempio, ma lo sono tutte le persone che lavorano su di sé e cercano nella relazione le risposte più vere, anche quando si tratta di problemi apparentemente solo “fisici”. Spesso si cerca nel medico le risposte che non ha, si pretende che abbia una visione che non può avere perché è figlio di questa umanità ferita. Viene criticato perché non ha altro che risposte razionali e apparentemente semplicistiche. Medico e paziente diventano due fazioni opposte, ridotti in profonde trincee, pronti a sparare. Credo, invece, sia necessario imparare a cercare insieme, cercare e creare senso in quello che viviamo, anche nella malattia o nella paura di ammalarci. Diventare partecipi di un’unico percorso, condividendone le speranze e le difficoltà. Allearsi da fratelli che lavorano nello stesso campo e si cibano dello stesso raccolto. Camminando insieme verranno anche risposte più consone alla nostra necessità di realizzare una umanità nuova.
I medici hanno capito che è il momento di cambiare rotta (e medicina…), il 2019 è stato l’anno degli “Stati Generali della Professione Medica”. In questo articolo pubblicato oggi su Darsi Pace Iside Fontana inizia ad analizzare il documento proposto dal sociologo Ivan Cavicchi e le sue “100 tesi”. Seguiranno altri articoli di approfondimento.
Per chi volesse scaricare il documento citato nell’articolo questo è il link.
Abbiamo considerato per troppo tempo la salute come antitesi della malattia e ci siamo quindi concentrati sulla distruzione del male, considerandolo come qualcosa che non appartiene alla persona, pensando di ottenere così il bene. Ma la salute non è l’opposto della malattia e questa non è “altro” dalla persona che ne è affetta.
Il positivismo è il paradigma su cui si basa la nostra attuale impostazione medica, esso considera il negativo (la malattia) come qualcosa da eliminare per ottenere il positivo (la salute). Considera quindi il positivo come negazione del negativo. Il concetto assomiglia molto a certe “missioni di pace” militari, in cui per ottenere la pace in una determinata area geografica afflitta dalla guerra, si agisce con armi ancora più potenti ed eserciti ancora più agguerriti. Il risultato è devastante: possiamo dire davvero di aver raggiunto la pace? Era quella la pace che cercavamo?
C’è un forte bisogno di cambio di visuale. La salute deve diventare lo scopo, deve essere perseguita come obiettivo a se stante. Sono necessari interventi a livello culturale perché tutti possano conoscere e mettere in pratica ciò che conosciamo per vivere meglio e in salute.
E quando c’è la malattia? Ovviamente va curata con tutti i mezzi a disposizione. Ma non va mai dimenticato che curare una persona significa andare ben oltre l’agire sulla sua parte malata.
Può bastare qualche piccolo aggiustamento? Direi proprio di no, come afferma il filosofo Luigi Vero Tarca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia in un articolo centrato proprio su questo tema:
“il superamento dell’attuale paradigma scientifico richiede ben più che un piccolo e limitato aggiustamento epistemologico, esso esige piuttosto un riassestamento di tutta la concezione del medico all’interno di un ripensamento radicale dell’esperienza umana nel suo complesso”.
Va quindi ripensato tutto il sistema, che è palesemente in crisi, ma lo diceva già George L. Engel nel 1977 quando proponeva il modello BioPsicoSociale.
Che il sistema sia in crisi lo dimostra il fatto che ricoveriamo spesso nei nostri ospedali persone giovani e potenzialmente sane per gravi problematiche ampiamente prevenibili, come quelle dovute a sovraccarico lavorativo e di stress, ad una alimentazione scorrettissima, all’abuso di sostanze ed alcol, al fumo di sigaretta, e così via. Lo dimostrano i continui ricoveri e dimissioni dei nostri poveri anziani, ogni volta più provati e debilitati, fino alla morte per esaurimento di materia vitale. Lo dimostrano le continue richieste dei malati cronici, delle persone con malattie non ben definite e non riconosciute, mai completamente soddisfatti di ciò che abbiamo loro da dare. Lo dimostrano le stanze asettiche e i pallidi corridoi dei nostri ospedali. Lo dimostrano le lamentele di pazienti che non sono stati ascoltati, compresi ed aiutati in modo completo o corretto.
Se noi medici continuiamo a vedere la persona come una macchina da aggiustare, seppur nei limiti imposti dalla Natura, non facciamo nulla per migliorare questo problema, ma ne tamponiamo solamente gli effetti, probabilmente favorendolo.
C’è bisogno di dare nuovi stimoli alla cultura, alla politica e alla ricerca scientifica e interiore perché possiamo diventare prima di tutto promotori della salute, poi resteremo sempre anche i “riparatori dei guasti”, ma con un’ottica completamente riassettata, pulita, focalizzata e centrata sul bersaglio corretto.