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Liberi o prigionieri?

Lavoriamo, studiamo, ci incontriamo e ci muoviamo apparentemente liberi, ma troppo spesso ci accorgiamo di sentirci prigionieri. Anche se la vita pare scorrere in piena libertà dimentichiamo di guardare il cielo, la natura e gli occhi di chi ci vuole bene.

Siamo prigionieri… di che?

Ieri sera ho visto la puntata delle Iene sull’omicidio di Garlasco. In mezzo ai dubbi e alle incongruenze dei procedimenti giudiziari di questa orribile vicenda, dal racconto del presunto omicida non è emersa tanto la rabbia e la voglia di vendicarsi per l’ingiustizia che dice di aver subito (dichiara di essere in carcere ingiustamente da circa 15 anni), ma un uomo sereno, uno che ha voglia di aiutare gli altri a non cadere nella sua stessa situazione.

Stamattina apro la mail e trovo un messaggio della Comunità di s. Egidio che mi informa dell’avvenuta esecuzione a morte di un detenuto di 41 anni nel carcere di Huntsville (Texas) di nome Kosoul Chanthakoummane, per il quale avevo firmato una petizione mesi fa in cui si chiedeva di non eseguire la pena di morte per il presunto omicidio a suo carico. Anche in questo caso vi sono numerosi dubbi sulla reale responsabilità del delitto. In questa mail si trova uno stralcio di una lettera del condannato ad un’amica di penna, scritta pochi giorni prima della sua morte:

“Ti suggerisco di guardarti intorno

e di ammirare la bella creazione di Dio.

Abbonda, sai?

Anche nella mia tomba di cemento

ho una piccola fessura di una finestra

in cui posso guardare fuori e vedere il cielo, il sole e le nuvole.

Vedo Dio e so che lui vede me.

Vorrei poter riavere la mia vita.

Anche se sembra impossibile, credo.

Questo è quello che voglio che tu faccia: credi.”

Non può che collegarsi il messaggio che ci ha lasciato Gesù Cristo che mi piace richiamare così:

non importa quello che hai fatto

o quello che ti è capitato,

sei perdonato,

sei libero.

Una libertà che non riguarda la vita in senso tanto fisico quanto più spirituale. Cosa significa questo? Che dentro di te c’è sempre la possibilità del perdono, che devi concedertela e puoi ottenerla.

Quindi basta con la rabbia, torna “libero ovunque tu sia”, come disse Tich Nhat Hanh durante la sua visita ai detenuti del penitenziario di Stato del Maryland.

E queste storie, tristi ma di grande speranza, confermano che è possibile, sempre, in ogni situazione.

Per chi vuole oggi pomeriggio, come ogni giovedì d’estate, ci vediamo al parco degli Ulivi di Villa Verucchio (Rimini) alle ore 18.30 per aprire una breccia nel cemento che spesso ci imprigiona. Il nostro gruppo “Sani e Salvi” si incontra da anni ogni settimana per cercare questa liberazione e questa apertura ad un nuovo modo di essere, ad un respiro aperto alla Vita.

Libertà, responsabilità e scientificità dell’informazione. Diritto all’informazione corretta e pensiero critico.

Oggi, 3 maggio, è la Giornata Mondiale per la Libertà di Stampa. Credo molto in questo principio, e sono molto grato verso chi, con grande coraggio e responsabilità, svela e spiega fatti che rimarrebbero nell’oscurità, e in tal modo favorirebbero il persistere di azioni ed atteggiamenti che vanno contro il bene comune e la crescita dell’umanità.

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Image by Colin Behrens from Pixabay

Lo hanno fatto e continuano a farlo i giornalisti, anche a rischio della propria vita, e nel nostro Paese non mancano gli esempi. Anche recentemente alcuni giornalisti sono stati minacciati di morte, come riferisce il report del Consiglio d’Europa (continuamente aggiornato su: https://www.coe.int/en/web/media-freedom). Attualmente sarebbero 20 i giornalisti italiani che vivono sotto scorta per questo motivo.

La nostra Costituzione (art. 21) e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 19) sanciscono la libertà di stampa e di espressione come un diritto fondamentale di tutti.

In questo periodo di pandemia la discussione si è accesa particolarmente. Sono stati pubblicati contenuti con notizie ed affermazioni fortemente contrastanti riguardanti il coronavirus (chiamato dagli scienziati SARS-COV-19), la malattia che può causare (COVID-19) e tutto ciò che vi gira attorno.

Bisogna considerare che, in campo sanitario, una informazione errata può mettere a rischio la vita di tutti. Questo, a mio parere, non significa che si debba favorire, o addirittura forzare, un unico canale di informazione ufficiale. La pluralità e la libertà sono alla base dei diritti che oggi si riaffermano e di una informazione più veritiera e corretta.

Tutto ciò non va confuso con la libertà di pubblicare qualsiasi cosa senza il minimo senso critico, senza coerenza, o lasciandosi orientare puramente da principi di parte o di convenienza. Le notizie che non rispecchiano la realtà, piene di inesattezze che possono generare confusione, fino a quelle palesemente false, vanno in qualche modo identificate e rettificate. Questo fa parte dei doveri di ogni giornalista, come previsto dall’art. 4 del Codice Deontologico dei Giornalisti Italiani.

Gli addetti ai lavori hanno reclamato per le informazioni palesemente scorrette sul coronavirus (anch’io l’ho fatto in alcuni casi), e le autorità hanno deciso addirittura di formare delle “task force” per identificare le notizie errate ed poter censurare i contenuti incriminati. Le piattaforme social (come Facebook, YouTube, Instagram, Twitter, ecc.) si sono attivate per eliminare contenuti ritenuti inesatti. Questo atto è stato giudicato gravissimo, come dichiarato da molti giornalisti, e riportato anche da Giulietto Chiesa il 25 aprile scorso, nella sua ultima dichiarazione prima di lasciare questa vita (https://youtu.be/QvQxMUwb7dM).

Dal blog dell’Avv. Daniele Ingarrica (https://www.consigliolegale-blog.com/2017/10/09/diritto-corretta-informazione-fake-news/) si evince che non esiste un vero e proprio diritto all’informazione corretta. Si legge comunque che “secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 112 del 1993, il giornalista è tenuto ad assicurare ai cittadini un’informazione: qualificata e caratterizzata da obiettività, imparzialità, completezza e correttezza; dal rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori nonché dal pluralismo delle fonti cui [i giornalisti] attingono conoscenze e notizie in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni, avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti”.

Siamo continuamente tempestati di notizie e affermazioni contrastanti e cangianti, abbiamo bisogno di una informazione corretta e il più possibile veritiera!

Una valida discussione sull’informazione scientifica l’ho trovata nella diretta Facebook di ieri di Federico Boem, filosofo della scienza, sulla pagina dell’ass. Culturale J.F. Kennedy di Rimini. L’incontro aveva il titolo “Convivere con l’incertezza. Il ruolo del pensiero critico: informazione e ricerca scientifica“. Boem sostiene che la scienza è un processo che appartiene ad una comunità (la comunità scientifica), e come tale cresce progressivamente, correggendosi, giustificandosi e confermandosi ripetutamente, attraverso pochi successi che si basano su tantissime sconfitte. La ricerca scientifica non riporta verità, cerca invece di fornire conoscenza e ridurre l’incertezza, con la quale siamo comunque tenuti a convivere.

Perché crediamo alle notizie errate e le diffondiamo sui nostri social? Secondo Boem può essere un fatto di pigrizia mentale: le notizie vengono fornite in grande quantità, facilmente reperibili e “non digerite”. Inoltre l’acquisizione di nuove informazioni parte spesso da posizioni di forte chiusura, sia da parte di singoli che di gruppi di persone o comunità. Boem ha distinto tra “bolle epistemiche”, in cui l’atteggiamento è caratterizzato da una scelta di fonti ristretta a cui si riconosce la massima autorità (non una vera e propria chiusura), e “camere di risonanza” in cui invece ci si rafforza vicendevolmente sulle posizioni prescelte escludendo categoricamente quelle che divergono dalle nostre (una forte chiusura in questo caso).

Per formare un pensiero critico, quindi, l’apertura mentale è sicuramente un aspetto basilare. Questo credo valga sia nel recepire l’informazione che nel produrla: favorire pluralità e libertà di informazione ed evitare allo stesso tempo il diffondersi di notizie affrettate e fuorvianti, come accade in molti casi di divulgazione attraverso i social.

Un’altro fattore importante, sempre secondo Boem, sarebbe la pazienza. La scienza ha i suoi tempi e risultati affrettati sono poco affidabili.

Da ultimo, cosa che condivido in pieno, è fondamentale il controllo delle fonti. Quanto è affidabile chi ci informa? In ogni caso, ricorda ancora Boem, anche il singolo scienziato, avesse pure un Nobel, non può avere più credibilità o autorevolezza dell’intera comunità scientifica. I risultati si ottengono insieme, e non per scalate solitarie.

Liberazione

Nell’incontro di Meditazione e Benessere Globale online di questa mattina abbiamo ricercato un’esperienza interiore che fosse in qualche modo legata all’importante festività di oggi: è il 25 aprile e nel nostro Paese viene festeggiata la “Liberazione dell’Italia” dal regime fascista e dall’occupazione nazista.

Image by mohamed Hassan from Pixabay

Abbiamo ancora bisogno di liberazione o è solo una ricorrenza? Sicuramente il nemico di allora è stato sconfitto, ma nel frattempo ne sono insorti altri, e altri ancora hanno perseverato più subdolamente.

Dentro di noi sentiamo che abbiamo tanto bisogno di liberarci… ma da che cosa? Quali sono i nostri “nemici” attuali che dobbiamo “combattere”?

Mi sembra che ognuno di noi viva, almeno in parte, nelle proprie gabbie. Si tratta per lo più di prigioni inconsapevoli, che in molti casi non riconosciamo nemmeno.

Nonostante abbiamo ottenuto molte libertà in questi 75 anni, abbiamo creato altri tipi di regime di ordine economico, mediatico, sociale e politico che ci opprimono. I nostri comportamenti, pensieri e scelte sono ancora fortemente condizionati da schemi culturali, educativi, religiosi, finanziari, lavorativi, e così via.

Le nostre storie personali, invece, ci rendono prigionieri di tiranni interiori. Le ferite che portiamo nella nostra interiorità ci rendono rigidi, e i nostri corpi ne parlano ampiamente con sintomi e disfunzioni, mentre le nostre menti sono confuse e la nostra emotività ci sembra inadeguata e da reprimere.

Spesso ci sentiamo costretti ad agire in un certo modo, ma ci diciamo che è giusto così. Eppure non stiamo bene in quelle modalità, non ci sentiamo liberi di esprimere noi stessi, per il fatto che non troviamo scelta, non riusciamo a riconoscere alternative.

Nei nostri incontri liberiamo il corpo e la mente attraverso pratiche meditative statiche e dinamiche. Dandoci respiro e vitalità sentiamo che questi tiranni, interiori ed esteriori, perdono di forza e allentano la loro oppressione, e noi assumiamo un maggior grado di libertà. Per poterlo fare abbiamo bisogno di silenzio interiore, di fluidità e leggerezza nel corpo e nella mente.

Thich Nath Hanh, grande maestro zen dei nostri tempi, nel suo libro intitolato “Il dono del silenzio” (Ed. Garzanti) ci conferma che la via è questa:

“Quando hai quel genere di silenzio vanti abbastanza libertà per goderti il fatto di essere vivo e apprezzare tutte le meraviglie della vita. Con quel genere di silenzio sei maggiormente in grado di guarire te stesso, mentalmente e fisicamente”.

“Per essere davvero devi essere libero dal pensare, libero dalle ansie, libero dalla paura, libero dal desiderio. «Sono libero» è una dichiarazione forte perché la verità è che molti di noi non sono liberi. Non abbiamo la libertà che ci consente di udire, e di vedere, e di essere semplicemente”.

Sono tanti i “nemici” di cui dobbiamo occuparci, ma questa non è una guerra, bensì una sorta di trattato di pace: possiamo davvero gradualmente rappacificarci con le nostre parti interiori sofferenti e fare un’esperienza diretta di liberazione.

A quel punto tutto ciò che è esterno e cerca di alienarci ed incatenarci perderà il suo potere, perché, come disse Krishnamurti

“la libertà è uno stato e una qualità della mente”

cioè qualcosa che viviamo interiormente, e nessuno potrà togliercela, nemmeno nelle difficoltà più estreme.

Anche C.G. Jung ricordava come sia necessario lavorare sulla propria interiorità, ancor prima e più di quanto non si faccia per una libertà di tipo sociale:

“Meglio essere legati da catene visibili che da catene invisibili”.

Le nostre qualità interiori, adeguatamente educate e lavorate, sono più forti delle influenze esteriori.