Archivi tag: terapia

Cantare migliora la salute!

E’ noto a tutti come il canto possa farci sentire meglio e rispondere al nostro bisogno di espressione e comunicazione, ma abbiamo le prove che tutto questo si traduce anche in un vero e proprio miglioramento della salute psicofisica.

Il canto, infatti, modula l’umore, lo stress e i loro mediatori (cortisolo, citochine e attività dei neuropeptidi) nei malati di cancro e in chi si prende cura di loro. Migliora inoltre l’attività del sistema immunitario, fondamentale in tutti i processi di malattia e di guarigione.

Tutto questo è stato dimostrato da uno studio apparso su “ecancer” in cui sono state studiate persone appartenenti a gruppi corali. Il lavoro, a cura di Daisy Fancourt e colleghi, è apparso sulla rivista nel 2016 col titolo “Singing modulates mood, stress, cortisol, cytokine and neuropeptide activity in cancer patients and carers” ed è disponibile in testo integrale a questo link.

Il canto può essere solitario, ma è anche un’attività in grado di farci socializzare creando amicizia e interazione con altre persone che nutrono la stessa passione, portando con sé quindi anche un grande valore sociale.

In conclusione cantare è un’attività che porta verso il benessere globale della persona e può fare anche parte di una vera e propria terapia in caso di problemi di salute.

Praticare la consapevolezza (mindfulness) per un benessere globale

meditation-567593_640Chiudendo gli occhi e portando l’attenzione al nostro interno possiamo scoprire un ricco mondo inesplorato. Ciò che proviamo in quel modo è il nostro tesoro, siamo noi. Possiamo sentire esattamente quello siamo, vivere questo momento e accorgerci che non è necessario identificarci con i nostri pensieri, col nostro corpo, con ciò che facciamo. Siamo e basta, qui e ora.

Questo mondo interiore, se accolto senza giudizi e catalogazioni, è puro, vero e libero. Puro perché non contaminato dall’esterno, vero perché è reale e vivo, libero perché non condizionato dai giudizi.

Tutto questo si chiama consapevolezza. Mindfulness è il termine inglese internazionalmente utilizzato per identificare questa modalità di approccio alla vita e la pratica meditativa che ne permette l’acquisizione.

Vivere in consapevolezza significa sentire chi siamo e che ci siamo, riconoscendo le nostre potenzialità e il ruolo che abbiamo nel guidare le nostre esperienze e le nostre relazioni, acquisendo di conseguenza anche fiducia in noi stessi e nella vita.

Per vivere il presente in questo modo abbiamo bisogno di un forte radicamento nel corpo. La mente facilmente vaga tra passato, presente e futuro, immaginato e reale, pensiero e consapevolezza di ciò che ci circonda. Il corpo invece, essendo fisico, vive nel presente e ci rimanda infinite sfumature sensoriali ed emotive. Attraverso esso, senza dimenticare che siamo un’inscindibile unità vivente, possiamo conoscere meglio la nostra interiorità e i nostri vissuti, è quindi essenziale sentirlo e ascoltarlo.

La consapevolezza parte dal nostro respiro, che in qualche modo nutre, rappresenta, ed esprime la nostra stessa vita.

Praticare la mindfuness significa dedicare del tempo a noi stessi e al miglioramento del nostro benessere globale. Tantissimi studi medico-scientifici ne hanno dimostrato l’efficacia in termini di miglioramento del benessere psicologico e corporeo, della performance cognitiva, della memoria, della capacità di attenzione, della capacità di affrontare lo stress e il carico emozionale, dell’empatia, dell’intelligenza emotiva, e di manifestazioni corporee come il dolore cronico e le tensioni muscolari. Più tecnicamente, all’elettroencefalogramma (EEG) è possibile rilevare un aumento della coerenza interemisferica cerebrale con onde armoniche e picco alfa e theta, associati ad un miglior flusso informazionale e coordinamento funzionale tra le regioni del cervello. Al contrario, tracciati EEG a bassa coerenza interemisferica sono stati associati a stati depressivi e psicotici, a bassa consapevolezza di Sé, e all’invecchiamento. Altri studi hanno dimostrato che specifiche aree del cervello deputate all’attenzione, all’integrazione emozionale e alla memoria sono più sviluppate nelle persone che praticano la meditazione.

Oltre a questa esperienza psicofisica si aggiunge quella spirituale: vivendo in consapevolezza abbiamo la grande possibilità di sperimentare in maniera semplice, reale e consapevole, che la nostra esistenza va oltre il nostro corpo, una sorta di “livello energetico”, che ci connette con quel Tutto di cui facciamo parte.

Conoscere le nostre profondità significa quindi anche aprirsi all’infinito, acquisendo un senso di appartenenza e di pace interiore, i quali non possono che portare all’amore di Sé, del nostro prossimo e di tutto ciò che ci circonda. Questo è assolutamente in linea con qualsiasi orientamento religioso. Il credente può fare un’esperienza che rafforza e ravviva la propria fede, ma anche il non credente può aver modo di conoscere senza tramiti il mondo spirituale.

Ecco perché la mindfulness è la pratica base della psicosomatica olistica: a partire da questa consapevolezza possiamo lavorare su noi stessi e recuperare l’integrità della nostra esistenza, formata da psiche, corpo, socialità e spiritualità. Uno stato “centrato” e “integrato” è quindi alla base del nostro benessere globale.

Per iniziare a vivere in consapevolezza è necessario praticarla con una certa costanza. Per questo occorre dedicarvi un po’ di tempo in un ambiente non disturbato. Il modo migliore è partecipare ad un gruppo, la mia proposta si chiama Obiettivo Benessere Globale (contattami se sei interessato, guarda la sezione Eventi se ci sono incontri aperti prossimamente), altrimenti lo si può fare anche da soli, ad esempio seguendo una traccia audio-guida (vedi ad esempio qui).


Vedi anche:

Le tecniche psicosomatiche

Considerare l’essere umano sotto il profilo psicosomatico significa vederlo come una unità, formata da psiche, corpo, relazioni sociali e spiritualità. Per prendersene cura bisogna quindi curare tutte le sue componenti, ovvero curare la persona piuttosto che la sua malattia o i suoi sintomi.

Ogni sintomo fisico ha un riscontro psichico, e un ascolto attento permette di comprendere come non sono uno la causa dell’altro, ma segni di un insieme che ha perso la sua armonia, in altre parole è venuta a mancare l’integrazione delle sue componenti.

Quando percepiamo dolore in un’area corporea viviamo un’esperienza sensoriale spiacevole, che porta ad un vissuto emotivo dalle sfumature più diverse, spesso caratterizzato da tensione, preoccupazione, svalutazione, ma che può diventare anche rabbia, paura, ecc. La colorazione emotiva del sintomo è del tutto soggettiva e legata allo specifico contesto in cui viene provato. Il significato che abbiamo imparato a dare alle nostre sensazioni corporee e alle nostre emozioni dipende largamente dal rapporto con le figure di riferimento dell’infanzia, particolarmente da quello con nostra madre.

Come possiamo quindi agire terapeuticamente considerando tutto questo? Uno dei primi passi è il riconoscimento di ciò che proviamo a livello corporeo. Per poterlo fare è necessario uno spazio di ascolto e consapevolezza sufficientemente profondo. In questo spazio è possibile ottenere una progressiva integrazione delle componenti dell’individuo, il cui rapporto era stato fratturato da un’esperienza traumatica.

Di seguito riporto un accenno alle principali tecniche psicosomatiche che utilizzo. Si tratta, nella maggior parte dei casi e più in generale nel loro utilizzo d’insieme, di tecniche dalla comprovata efficacia e senza effetti collaterali. Vi sono numerosissimi studi scientifici, in particolare sulla mindfulness, che riportano miglioramenti dell’ansia, della depressione, dei sintomi fisici cronici, delle tensioni, dei pensieri ossessivi, degli attacchi di panico, del senso di appartenenza alla società, delle relazioni, della gestione delle emozioni, del rendimento scolastico o lavorativo, della capacità di concentrazione e attenzione, dell’empatia, dell’intelligenza emozionale, ecc.

  1. La tecnica base è la Mindfulness psicosomatica che consente di entrare in uno spazio di consapevolezza più profondo, attraverso l’ascolto del respiro nelle varie parti del corpo e in tutto il corpo insieme. Questo particolare stato corrisponde a evidenze scientifiche riguardanti la sincronizzazione dell’attività delle varie aree del cervello, riduzione dell’attività cerebrale ad alta frequenza (onde beta, corrispondente al pensiero e all’autocontrollo), aumento dell’attività a bassa frequenza (onde alfa, theta, delta). Il respiro è il principale strumento della psicosomatica: rivitalizza il corpo, scioglie le emozioni bloccate, apre la mente e risveglia la coscienza. Sin dall’antichità l’equilibrio psicosomatico e spirituale è stato associato al “respiro globale”.
  2. Il Body-scan psicosomatico è la tecnica che porta a sviluppare prima una maggior sensibilità corporea, poi anche quella più sottile, che potremmo definire energetica. Si tratta di una esplorazione corporea effettuata attraverso la focalizzazione dell’attenzione e del respiro, mentre ci si trova in stato di consapevolezza profonda. Questo porta a riconoscere e imparare ad esprimere il proprio percepito attraverso forme, colori, e altre caratteristiche.
  3. Il Disegno psicosomatico è una modalità espressiva di traduzione delle sensazioni in immagine disegnata su carta. La persona trova così il modo di “fotografare” il suo attuale stato di consapevolezza corporea.
  4. Gli esercizi di energetica stimolano la consapevolezza corporea anche attraverso il movimento. La piacevolezza del movimento delle tecniche “dolci” aiuta a riscoprire l’armonia del corpo nella sua interezza, mentre la decisione delle tecniche “forti” irrobustisce il senso di presenza, forza e sicurezza della persona.
  5. L’uso della voce permette in maniera semplice di riconoscere e stimolare varie aree corporee, dalla pancia, al torace, alla gola, alla testa, al corpo intero.
  6. Il massaggio olistico consente di migliorare la percezione di aree corporee bloccate, di liberarne le tensioni e facilitarne il ripristino del flusso energetico.

Vedi anche:

Musica, jazz ed emozioni

La musica è uno splendido canale espressivo e terapeutico, per questo propongo alcune riflessioni in questo sito, che vuole essere luogo e strumento di ricerca dell’essere e del vero. Nel video potete ascoltare un noto brano suonato dalla mia jazz band.

Una delle mie passioni è sempre stata la musica. Questo splendido canale artistico ha enormi potenzialità espressive, comunicative, e quindi anche terapeutiche. La musica ha la impressionante capacità di riempire lo spazio, di portarci in luoghi interiori lontani e diversi. Il jazz in particolare è lo stile che mi ha dato di più, in termini di emozioni e di possibilità di esprimermi. Tratterò in particolare di questo stile musicale, ma si tratta di una scusa per parlare di espressione musicale, visto che molti aspetti sono comuni ad altri generi musicali.

La musica jazz esprime emozioni intense, con suoni molto variegati, alternando forti tensioni a (spesso parziali) risoluzioni, mantenendo un senso di aspettativa in ciò che avverrà successivamente. Si tratta di un genere musicale dai confini labili, che lascia spazio alle idee e all’espressione del musicista, senza pretendere che questi segua precisi schemi o strutture. Il jazz è così ampio da non poterne dare una definizione, ciò che amo di questa musica è il senso di libertà che provo nel suonarla. Se suoni jazz “puoi fare ciò che vuoi”, o meglio direi “puoi fare ciò che senti”. Le regole sono poche e chiare: ascolta, esprimiti, segui lo stile, stai nella struttura. Come ho già detto si tratta di elementi che, in modo diverso, si possono adattare a qualsiasi stile musicale.

L’ascolto è il primo aspetto fondamentale: se suoni con qualcun altro non puoi esserne indipendente. L’ascolto deve essere reciproco e richiede capacità di interazione, di adattamento, di proporre nuove idee e di accettarne altre. Quando un musicista si esprime nel suo assolo tutti lo ascoltano e si adattano per sostenerne il discorso regolando l’intensità del suono e della ritmica, modulando il timbro e l’espressività. Quando si suona assieme ciò che conta è il risultato complessivo e non il proprio suono: il direttore darà indicazioni su come regolarsi, in sua mancanza ogni elemento ha la responsabilità di ascoltare anche l’insieme, al fine di ottenere un effetto compatto, come se l’orchestra fosse uno strumento unico, ma allo stesso tempo polifonico e politimbrico. L’ascolto è fondamentale per tenere il “groove”: non si tratta solo di tenere il tempo, ma di allinearsi più sottilmente su quelle sequenze ritmiche di accenti e di spostamenti sul tempo (più spesso sullo “swing”) che determinano una sorta di onda che viene cavalcata da ogni singola nota suonata, determinando un senso di trasporto nell’ascoltatore, nonché nei musicisti stessi. Una particolarità del jazz è l’improvvisazione: è nato proprio così, quando gli schiavi neri afroamericani improvvisavano cantando dei canti per consolarsi dalla loro condizione. Chi si univa al canto, ovviamente, doveva prima ascoltare colei o colui che l’aveva intonato. Solo comprendendo il senso di ciò che è stato proposto ci si può aggregare e dare il proprio contributo.

Un altra caratteristica del jazz è quella di dare libera espressione al musicista. Questa espressività in realtà può avere diversi gradi di libertà, ma non è mai annullata. Se suoni jazz, però, senti nell’aria la voglia di libertà e di dire la tua, e quando ti è concesso dal gruppo, in accordo con ciò che esprimono gli altri, è semplicemente ciò che devi fare. La libertà va espressa all’interno di una struttura ritmica e armonica, nel rispetto delle altrui melodie.

Tutto ciò non assomiglia forse a ciò che viviamo ogni giorno nelle relazioni con le altre persone? Spesso ciò che non abbiamo potuto esprimere nella vita possiamo recuperarlo con la musica, e lo facciamo a modo nostro, esprimendo anche quella parte di interiorità nascosta.

Mangiar sano… in 7 punti psicosomatici

In un precedente articolo (vedi qui) ho espresso il mio pensiero riguardante una “alimentazione terapeutica”, che non riguarda solo il cibo, ma molti altri elementi e aspetti vitali della nostra esistenza.

Senza addentrarmi nello specifico delle varie condizioni patologiche (o particolari) in cui possiamo trovarci, per le quali è necessaria una opportuna modificazione della dieta, ritengo fondamentali alcuni elementi legati ad una corretta alimentazione.

Alimentarsi col cibo è un atto d’amore verso se stessi, è un fondamentale momento della nostra vita. Oltre ad alimentare il nostro corpo nutriamo allo stesso tempo anche la nostra mente. Infatti l’intestino è dotato di un complicato sistema nervoso, e scambia continuamente segnali col cervello, tanto da essere considerato “il secondo cervello”. Quante volte ci accorgiamo che mangiare, soprattutto certi cibi, modifica il nostro umore e il nostro senso di appagamento!

Siamo giustamente attenti a cosa mangiamo, ma ritengo sia altrettanto importante curarci di come mangiamo.

Una corretta alimentazione (vedi i punti che seguono) consente di stare meglio sotto tutti i punti di vista: sentirsi più appagati, aumentare l’autostima, sentirsi più “leggeri”, avere più sicurezza riguardo alla salute del nostro organismo, e tanto altro.

  1. Mangiare con serenità. Il momento del pasto è sacro. Se vissuto in serenità e piacevolezza, permette di sentirsi uniti e in armonia con gli altri. Non a caso la maggior parte delle persone quando vuole incontrarsi lo fa in occasione di colazione, pranzo o cena. In famiglia spesso le discussioni più importanti vengono fatte a tavola, rovinando questa preziosa occasione. Possiamo invece imparare a vivere il pasto come un gioioso momento di fraternità, posticipando la trattazione delle problematiche più difficili.
  2. Acquistare cibi sani e naturali e cucinarli adeguatamente. I cibi migliori sono quelli delle zone in cui viviamo, di stagione e biologici. Mangiare cibi crudi, oppure prepararli con metodi di cottura che li alterano il meno possibile (al dente, bolliti) sono i più adatti a mantenere le importanti sostanze presenti nelle materie prime (vitamine, proteine, ecc.) e a favorire digestione e assorbimento. Cibi locali consentono anche di mantenere intatta la popolazione batterica intestinale, che è fondamentale per un corretto funzionamento dell’apparato intestinale, quindi per la digestione, e per l’equilibrio del sistema immunitario.
  3. Apprezzare il cibo. Il cibo non è solo sostanza da ingerire, va assaporato, gustato e apprezzato. Anche per questo è importante mangiare cibi più naturali possibile cucinati con metodi adeguati: li apprezzeremo sicuramente di più!
  4. Mangiare lentamente. Consente di assaporare meglio il cibo, di elaborarlo più efficacemente migliorando i processi digestivi, e di ottenere prima la sazietà.
  5. Evitare eccessi e carenze. Mangiare un po’ di tutto, dando priorità a frutta, verdura, legumi e carboidrati complessi (pane, pasta, riso, cereali). Limitare le carni, soprattutto rosse, i dolci, gli alcolici e il caffè. E’ molto importante imparare a cucinare piatti vegetariani che siano anche stuzzicanti (altrimenti si rischia di rifarsi sempre il palato con la carne e i dolci). E’ importante prendere in considerazione anche una riduzione dell’uso del sale e dello zucchero.
  6. Mantenere orari fissi per i pasti. Evitare digiuni prolungati o forti alterazioni negli orari e nei ritmi dei pasti. Se non è possibile farlo (per esempio a causa di turni di lavoro incompatibili) portare con sé almeno degli spuntini.
  7. Non dimenticare l’acqua. Evitare di bere troppa acqua (o altri liquidi) ai pasti, ma soprattutto ricordarsi di bere durante il giorno. Non c’è una quantità ideale valida per tutti, ma non si dovrebbe mai raggiungere il senso della sete, o ancor peggio non prenderlo in considerazione. Consiglio sempre, a chi non beve spontaneamente, di portare con sé una bottiglietta d’acqua e sorseggiarla di tanto in tanto.

Vedi anche: Quale alimentazione terapeutica?

Quale alimentazione terapeutica?

La nostra alimentazione è uno dei mezzi con cui assumiamo dall’esterno le sostanze di cui abbiamo bisogno. E’ un modo di interagire con il resto del mondo: inglobiamo e trasformiamo i prodotti della natura, ne estraiamo le componenti a fini energetici, metabolici e strutturali.

Oggi si parla molto di “alimentazione terapeutica” (o nutraceutica), ovvero dello studio di diete particolari che potrebbero contribuire al miglioramento (o addirittura alla guarigione) di determinate condizioni patologiche, anche coadiuvando altri mezzi terapeutici. Tutti sappiamo che la dieta può avere anche effetti negativi, per esempio sovrastimolando alcuni sistemi o tessuti del nostro organismo, oppure determinando carenze alimentari.

Una dieta appropriata è sicuramente un ottimo punto di partenza per una vita in salute, o per avviarsi verso la guarigione, ma quello che mangiamo non è l’unico cibo.

Alimenti della nostra vita sono anche le relazioni interpersonali e sentimentali, il lavoro e lo studio, la luce e la visione, il suono e la musica, il contatto e il movimento corporeo, l’aria e la respirazione, la preghiera e la meditazione, le emozioni e i sentimenti, il rapporto col cibo e col pasto (compreso il gusto e l’olfatto)… e tanto altro. Dimenticarsi di queste componenti vitali significa snaturarsi e rischiare di perdere importanti spunti terapeutici e salutari.

“Siamo ciò che mangiamo” (Ludwig Feuerbach) è vero se allarghiamo il concetto a tutto ciò che costituisce la nostra “alimentazione vitale”. In fondo, ciò che ci insegnano la medicina olistica e psicosomatica, in linea con la filosofia di Feuerbach, è che non c’è distinzione tra mente e corpo: l’alimentazione dell’una si ripercuote sull’altro, e viceversa.


Vedi anche: Mangiar sano… in 7 punti psicosomatici