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Lo Stress e i Fattori che ci aiutano ad affrontarlo

silhouette photography of man illustration

In questo momento di pandemia molte persone riferiscono di sentirsi sotto stress e mostrano notevoli difficoltà nell’affrontarlo e gestirlo.

In questo articolo cerco di descrivere l’argomento in modo semplice e alla portata di tutti, riportando anche i fattori che possono aiutarci a migliorarne la gestione. Di seguito un piccolo approfondimento per i più curiosi, un po’ più complesso, ma comunque credo comprensibile anche a molti “non addetti ai lavori”.

COSA SI INTENDE PER “STRESS”

Lo stress è qualcosa a cui tutti siamo sottoposti quotidianamente, ma non è necessariamente negativo. In un certo senso, e in accordo con la visione scientifica attuale, lo stress è come una ginnastica: se la pratichiamo in modo corretto, regolare e senza eccessi, ci fa bene. Essere quindi attivi e sottoposti a compiti che siamo in grado di compiere, seppure con fatica, impegnati in relazioni anche non sempre semplici, ci fa bene e rende la nostra unità bio-psico-socio-spirituale efficiente, reattiva e realizzata.

La totale assenza di stress significa quindi monotonia e magari anche isolamento, per cui, per rimanere sull’equivalenza con l’attività fisica, corrisponde ad una totale sedentarietà.

SUPER-STRESS O NON-STRESS?

Vi sono persone che stanno molto bene sul divano per giornate intere (ma sappiamo che questo non è salutare per molti aspetti) e altre invece che se non corrono o non si allenano in palestra stanno malissimo. Questo è in relazione alla nostra personalità, alle nostre esperienze (prenatali, infantili, adolescenziali e successive) e alle nostre abitudini, ma in merito allo stress è ben noto che alcuni di noi ne hanno bisogno una discreta quantità, mentre altri tendono a non sopportarne la benché minima presenza.

Andando per eccessi, chi non vorrebbe per nulla essere stressato può tendere a chiudersi, evitando le relazioni sociali, o a non impegnarsi in compiti difficoltosi. Questo può portare ad una reazione depressiva, che favorisce anche non pochi disturbi fisici (ad esempio alcune malattie neurodegenerative, o l’obesità). Lo stesso potrebbe succedere a chi è abituato a continui stimoli che ad un tratto vengono meno.

Chi, invece, sente il bisogno di essere continuamente stimolato rischia l’eccesso: diventare iperattivi e superimpegnati può far stare malissimo, in quanto può portare a sentirci ingabbiati dalle incombenze e in ansia, contribuendo allo sviluppo di insonnia e disturbi fisici di svariato genere (ad esempio disfunzioni intestinali, diabete mellito, disturbi cardiovascolari, ecc.). Reagirà in modo simile chi fatica a sopportare lo stress quando viene messo sotto pressione.

Altri fenomeni associati ad una precaria gestione dello stress sono ad esempio disturbi della memoria, difficoltà di attenzione e labilità emotiva.

Lo stress quindi va modulato, e non annullato. Proprio come una ginnastica. Siamo in genere abbastanza in grado di affrontare i cambiamenti e le sfide della vita, ma non è detto che i nostri adattamenti non siano anche deleteri per la nostra salute. E’ importante quindi cercare di imparare a gestire meglio lo stress.

MODULARE LO STRESS

woman doing yoga meditation on brown parquet flooring

Il cervello, per tutta la vita, è dotato di una plasticità che gli consente di rispondere a stimoli che lo fanno ammalare, ma anche che lo aiutano a riprendersi.

Tra i fattori a nostra disposizione che contribuiscono efficacemente ad un miglioramento della gestione dello stress sono stati riscontrati:

1) meditazione, in particolare mindfulness (vedi le mie proposte Obiettivo Benessere Globale e Meditazione e Benessere Globale online), basta praticarla per 8 settimane per avere riscontri effettivi;

2) ascoltare musica regolarmente;

3) coltivare il senso dell’umorismo, ridere;

4) favorire l’eubiosi intestinale, ovvero la presenza di batteri che facilitano un corretto funzionamento intestinale e del sistema immunitario;

4) dieta adeguata;

5) attività fisica regolare e adeguata (non troppo intensa);

6) coltivare amicizie e buoni rapporti sociali;

7) studiare argomenti di interesse e fare esercizio mentale (non eccessivo);

8) passare del tempo in ambienti tranquilli e all’aperto, come corse o passeggiate al parco e nei boschi.

Tutto questo significa assicurarci dei momenti che ci diano la possibilità di prenderci cura di noi stessi, di coccolarci e di farci del bene.

Se non ci riesci a farlo da solo puoi valutare i percorsi che propongo.


UN APPROFONDIMENTO

Ormai 50 anni fa sono stati scoperti recettori per glucocorticoidi (ormoni rilasciati dalla corteccia surrenalica sotto stimolo dell’asse ipotalamo-ipofisario) nell’ippocampo, una struttura cerebrale impegnata nella regolazione emotiva, nella memoria e nell’apprendimento. È quindi ben compreso come non vi sia solo un circuito discendente, ovvero dal cervello al surrene, e nemmeno solamente un circuito di feedback negativo, ma una precisa risposta del cervello stesso al cosiddetto “ormone dello stress” (il glucocorticoide cortisolo, anche se in realtà nel cervello si trovano anche recettori per mineralcorticoidi, altri ormoni surrenalici). Questa risposta si può configurare come modulazione epigenetica dell’attività neuronale, formazione o destrutturazione di sinapsi e variazione del numero di dendriti.

Uno stress accettabile porta ad una reazione di adattamento, in sé positiva: miglioramento del metabolismo cerebrale e corporeo, aumento delle sinapsi e dei dendriti, ingrandimento di aree deputate alla memoria e alla gestione delle sfide (come amigdala, ippocampo, corteccia prefrontale mediale). Uno stress eccessivo e cronico porta invece ad un meccanismo di difesa delle stesse strutture cerebrali, altamente sensibili ai glucocorticoidi, con conseguente riduzione dei neuroni e delle loro connessioni, fatto rilevabile anche con risonanza magnetica.

Sono stati riscontrati fattori neuroprotettivi provenienti da diversi organi e apparati dell’organismo, in relazione agli stimoli che questi ricevono. Ad esempio sono protettivi nei confronti della gestione delle emozioni e dello stress insulina (dal pancreas), IGF-1 (dal fegato), catepsina B (dai muscoli), osteocalcina (dall’osso). Questo, in parte, spiega il miglioramento della sensibilità allo stress e della gestione emotiva in seguito ad attività fisica o modifiche dietetiche.

Gli effetti dei glucocorticoidi possono essere espressi con un grafico ad U rovesciata: sono i livelli intermedi a dare le risposte migliori a livello neurale, influenzando positivamente, ad esempio, la nostra capacità di imparare, memorizzare, affrontare eventi stressanti. Livelli troppo bassi o eccessivi possono invece portare a gravi problemi comportamentali, adattativi (plasticità neuronale), emotivi ed affettivi, fino a sindromi psichiatriche vere e proprie come disturbo bipolare, depressione maggiore, disturbo post-traumatico da stress, disturbi di panico.

FATTORI INFLUENTI SULLO STRESS E SULLA SUA GESTIONE

Vi sono fattori fisici particolarmente influenti su tutto questo. Possono creare difficoltà ad esempio la sindrome metabolica, l’insulino-resistenza, ritmi circadiani alterati, disturbi del sonno, vita troppo sedentaria.

L’ambiente socioculturale, le condizioni economiche e le esperienze di vita hanno un grande peso sulla gestione dello stress e sulla salute generale delle persone. Povertà, abusi infantili, avversità ed abbandono nell’infanzia, sono fattori fortemente predisponenti a diabete mellito, depressione, malattie cardiovascolari, abuso di sostanze, demenza senile.

L’impatto generale delle esperienze di vita in questo senso viene definito come “carico allostatico”, in riferimento al peso di eventi e condizioni stressanti, situazioni sociali, economiche e culturali. L’affrontabilità di questo carico da parte dell’individuo, in relazione alla sua predisposizione genetica e alle possibilità personali sviluppate, potrà determinare una risposta più o meno adattiva o patologica, con conseguenze comportamentali, di salute corporea e adattamento sociale.


Fonti:

– Thomson H., Don’t stress: The scientific secrets of people who keep cool heads, New Scientist, 19 Feb 2020

– McEwen B. S. e Akil H., Revisiting the Stress Concept: Implications for Affective Disorders, The Journal of Neuroscience, Jan 2, 2020, 40(1):12-21

– Immagini da unsplash.com

Quando la memoria fa cilecca


Molte persone lamentano disturbi della memoria che interferiscono in modo più o meno importante nella loro vita quotidiana. Dimenticanze di vario tipo, come perdere un’appuntamento o non ricordare dove è stato lasciato qualcosa, mettono in luce un lieve disturbo della memoria, che può avere caratteristiche del tutto transitorie.

C’è da dire che può capitare a tutti, di tanto in tanto, di dimenticare qualcosa, soprattutto quando siamo stanchi o troppo presi da qualche attività, per cui non è assolutamente preoccupante se avviene sporadicamente e non influenza più di tanto la vita quotidiana.
Di solito non si tratta dimenticanze molto gravi e nemmeno troppo frequenti, per cui ci si rassegna e non si chiede nemmeno aiuto. Infatti spesso questa domanda è secondaria, cioè la persona si è rivolta a me per altri motivi. Questo evidenzia anche una scarsa fiducia nella possibilità di migliorare le proprie capacità mnemoniche.
Tipicamente chi soffre di «dimenticanze» ha la sensazione di avere la testa piena di problemi, cose da fare, impegni, pensieri. In altri casi la persona vive poco in contatto con ciò che la circonda, sembra che abbia la testa fra le nuvole, e magari non ha nemmeno tanti impegni da seguire. Quello che può accomunare questi due apparenti estremi è la scarsa concentrazione.

Quando preoccuparsi seriamente

In alcuni casi i disturbi sono pesanti e mettono in grave difficoltà la persona e chi le sta vicino, situazioni che richiedono sempre un’attenta valutazione specialistica.
Attenzione particolare va dedicata anche alle forme che insorgono acutamente o si aggravano in tempi piuttosto rapidi. Talvolta sono i parenti a riferire questo disturbo, mentre l’interessato sottostima (o addirittura nega) il problema, risultandone del tutto inconsapevole. È importante tener conto seriamente di disturbi della memoria legati ad altre alterazioni della salute psicofisica della persona. Un disturbo della memoria di questo tipo va immediatamente riferito al medico, il quale procederà con testistiche appropriate o invierà a consulenza specialistica.
È inoltre essenziale distinguere almeno tra memoria a breve termine, ovvero quella che riguarda l’immagazzinamento temporaneo di informazioni, e memoria a lungo termine, quella che ci consente di ricordare fatti, persone, luoghi, e molto altro dal nostro vissuto passato. In genere il disturbo più frequente riguarda la memoria a breve termine, ad esempio non memorizziamo un nome o un numero enunciato poco prima, magari dimentichiamo dove abbiamo messo le chiavi, o dove abbiamo parcheggiato la macchina.

Un disturbo ben più grave è senz’altro quello legato alla perdita di memoria riguardante ricordi ben fissati precedentemente (memoria episodica), oppure in alterazioni della capacità di dare un nome alle cose o riconoscere persone e luoghi (memoria semantica), oppure ancora perdita della capacità di eseguire compiti precedentemente ben conosciuti (memoria procedurale).

Il «centro» della memoria

La memoria non ha un vero e proprio luogo nel cervello, è sempre più chiaro che quest’ultimo lavora in maniera unitaria e probabilmente olografica, ovvero una certa informazione è contenuta allo stesso momento in più aree (non solo cerebrali, ma anche corporee), ma con diversi livelli di dettaglio. Un ricordo, quindi, è dato da uno «stato» del sistema nervoso, e non è localizzato in un punto preciso al suo interno. Il cervello ha, comunque, nelle sue varie regioni anche funzioni specifiche, ma queste interagiscono sempre ampiamente tra loro.
L’ippocampo è una regione cerebrale centrale per la funzionalità della memoria, ha inoltre un ruolo fondamentale nell’equilibrio emotivo (fa parte del sistema limbico) e nella risposta agli stimoli stressogeni cui siamo sottoposti continuamente. Il suo sviluppo è determinato in buona parte dalle cure genitoriali, ovvero dal modo in cui i genitori si relazionano col bambino. Cure materne più amorevoli e supportive nel periodo di vita prescolare del bambino portano ad uno sviluppo superiore di quest’area, contribuendo quindi anche ad un miglior equilibrio emotivo [1]. Situazioni di stress cronico, in seguito all’aumento del cortisolo (detto anche «ormone dello stress») che blocca la capacità dei suoi neuroni di assumere glucosio, invece portano ad una riduzione della funzionalità e del volume dell’ippocampo anche nell’adulto.
L’ippocampo è proprio inserito nel circuito di regolazione del cortisolo: in una situazione di stress cronico riduce la sua capacità di regolarlo, portando a risposte meno efficaci dell’organismo (il cortisolo resta elevato per più tempo) [2]. Tutto questo è alla base di problemi di memoria che lamentano tante persone, giovani e adulte.
Bisogna ricordare che lo stress cronico porta anche ad alterazioni del sistema immunitario, a depressione, a situazioni di infiammazione e ad una rigenerazione cellulare ridotta. Tutti questi aspetti, insieme, conducono ad una salute precaria, predisponendo a malattie acute e croniche.

Cervelli in forma

Parlando dell’ippocampo abbiamo messo in luce collegamenti tra memoria, vita sociale, emozioni e stress.
Il nostro cervello ha bisogno di continui stimoli per mantenersi in forma, quindi anche una vita povera di relazioni sociali, attività e impegni, può portare ad una progressiva riduzione dell’attività cognitiva, come può accadere nelle persone anziane, emarginate, o portatrici di malattie debilitanti.
È facile rendersi conto di come alcune informazioni restino impresse nella nostra mente in maniera indelebile, mentre altre tendano a scivolare immediatamente senza essere nemmeno trattenute per pochi istanti. Da cosa dipende tutto questo? Importanza fondamentale è data dallo stato mentale in cui ci troviamo in quel momento e dalla valenza emotiva dell’informazione stessa.
Uno «stato di presenza» consapevole (mindfulness) favorisce l’attenzione e la memorizzazione. Non mi dilungherò su questo aspetto già ampiamente trattato in altre pagine del sito (vedi ad esempio: Praticare la consapevolezza (mindfulness) per un benessere globale).
Avvenimenti dalla forte connotazione emotiva, quale essa sia, restano più facilmente impressi nella memoria. In questi casi, infatti, specifiche aree cerebrali (come amigdala e ipotalamo) sono già state attivate rilasciando sostanze (come dopamina e catecolamine) che determinano più prontezza nella risposta psicofisica. Le emozioni sono reazioni interiori che danno peso e coloritura a ciò che avviene, quindi attraverso di esse riconosciamo anche cosa è importante memorizzare. Quando viviamo una certa situazione in modo distaccato, senza emozione, più facilmente ce ne dimentichiamo. Infatti, non ricordiamo tutte le volte che siamo entrati in un supermercato, in un cinema, o in una chiesa, ma probabilmente abbiamo ricordi di momenti specifici vissuti in questi luoghi che hanno suscitato in noi particolari emozioni.
Quando abbiamo necessità di memorizzare un dato è quindi utile associarlo a qualcosa che ci è caro, o comunque ben conosciuto. Ad esempio incontriamo una persona per la prima volta e ci dice che si chiama «Rossella». Per non dimenticarlo possiamo immediatamente associarla ad una persona che conosciamo con lo stesso nome. Se non conosciamo nessun omonimo, possiamo effettuare altri collegamenti visivi, in questo caso ad esempio: l’immagine di una rosa, la persona stessa vestita di rosso, ma anche una sella di una bicicletta potrebbe aiutarci…

Rielaborare i contenuti di un’informazione, sia essa rappresentata da un numero di telefono, un nome, o dettagli di altro tipo, è sempre un’operazione utile per ricordarla. Anche il solo ripetere a voce alta è già una rielaborazione, perché questa azione richiede un passaggio di modalità sensoriale (ad esempio dall’immagine alla verbalizzazione) e quindi un lavoro cerebrale che necessita e determina collegamenti tra diverse aree.
Esistono anche tecniche specifiche di memorizzazione, ma esulano dagli scopi di questo articolo.

Insomma, la pillola della memoria?

La risposta quindi, in genere, non è da ricercarsi in un rimedio farmacologico. Sicuramente è fondamentale osservare uno stile di vita che rispetti le necessità del nostro organismo:

  1. corretta alimentazione
  2. sufficiente attività fisica
  3. adeguato riposo

I nemici della memoria

Il fumo e l’eccesso di alcol possono portare a danni irreversibili, non solo sull’attività cerebrale, ma anche sull’apparato cardiovascolare, che si occupa di fornire i nutrienti vitali a tutto il corpo, nonché ad altri organi. Una assunzione eccessiva di caffeina, teina, o bevande a base di cola o guaranà, può compromettere alcune attività del nostro sistema nervoso.

Tenere sotto controllo parametri fisici come la pressione arteriosa, la colesterolemia e il peso corporeo, significa contribuire al benessere generale del nostro corpo e della nostra mente.
Una dieta sbilanciata o favorente l’infiammazione è nemica del cervello, così come lo sono la carenza di sonno e l’eccessiva sedentarietà.

Anche un utilizzo eccessivo di sistemi elettronici (computer, smartphone, tv, ecc.) può far perdere l’allenamento nella memorizzazione, nel calcolo a mente, e determinare una iperattivazione irritativa del sistema nervoso centrale.

Dieta, integratori e altro

Nota bene: ciò che viene descritto in seguito ha il solo scopo informativo, non è da considerarsi un consiglio medico.

In alcuni casi una integrazione dietetica può essere d’aiuto, ma non deve essere considerata sostitutiva di un buon regime alimentare. La vitamina E, ad esempio, è essenziale per le membrane neuronali ed ha un effetto antiossidante, la vitamina B12 e i folati sono essenziali per una normale attività del sistema nervoso.

Alimenti che possono favorire la memoria (e non solo) ad esempio sono:

  • Colina: sostanza fondamentale di membrane cellulari e neurotrasmettitori ed ha attività antiossidante. E’ contenuta ad esempio in semi di soia, uova (tuorlo), fegato, rene, cavolfiori, arachidi, pollo.
  • Mirtilli: contengono pro-antocianidine (antiossidanti) e altre sostanze protettive nei confronti di cervello e vasi sanguigni, favoriscono il metabolismo lipidico e glicemico. NB: hanno attività antiaggregante piastrinica, di per sé favorevole nella prevenzione degli eventi cardiovascolari, ma aumenta il rischio di sanguinamento se in terapia con farmaci antiaggreganti piastrinici o anticoagulanti.
  • Curcuma: numerose attività benefiche per l’organismo, azione antiossidante e antinfiammatoria. Evitare in caso di calcoli biliari.

Farmaci omotossicologici o rimedi omeopatici mirati possono invece fornire substrati utili al ripristino di una migliore funzione mnemonica e cerebrale, ma vanno scelti attraverso una conoscenza sufficientemente approfondita della persona e del suo problema.

Relazioni e interiorità

Lavorare su noi stessi ricercando uno stato interiore presente, sano e attivo (vedi le considerazioni fatte sopra su stile di vita, pratica meditativa, ecc.) in ogni momento della nostra vita è senz’altro il primo e fondamentale passo. Finché viviamo concentrati solo sui nostri doveri, problemi, paure, o impegni, non riusciamo ad essere veramente presenti nel qui ed ora.

È importante prendere in considerazione il modo che abbiamo di affrontare le relazioni, la nostra interiorità, e il carico quotidiano di impegni. Imparare ad ascoltarsi è fondamentale, in questo la pratica meditativa e l’attività bioenergetica corporea si inseriscono perfettamente, permettendo di raggiungere uno stato di miglior consapevolezza di Sé, associata a quiete interiore, rilassamento fisico e migliore riposta allo stress. Migliorano inoltre l’attenzione e la concentrazione, riducono l’ansia e la depressione.

Sentire e vivere il corpo fa parte di questa consapevolezza. Questa potrebbe farci rendere conto che stiamo chiedendo troppo a noi stessi e che quindi non ci stiamo prendendo cura di noi con sufficiente amorevolezza.

Bibliografia

  1. J. L. Luby et al., Preschool is a sensitive period for the influence of maternal support on the trajectory of hippocampal development, PNAS 2016 ; published ahead of print April 25, 2016, doi:10.1073/pnas.1601443113
  2. F. Bottaccioli, Psiconeuroendocrinoimmunologia, Red Edizioni, 2005, p. 438-439