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Alle radici della meditazione

Se consideriamo le radici orientali della parola meditazione, essa esattamente significa “coltivazione”: coltivare nuove qualità, nuovi modi di essere. Significa anche “familiarizzazione”: familiarizzare con un nuovo modo di vedere il mondo; per esempio, non aggrapparsi alla permanenza e vedere invece il flusso dinamico dell’interdipendenza.

La trasformazione interiore è qualcosa che determina la qualità di ogni istante che viviamo.

Compassione, attenzione, vigilanza, mindfulness, pace interiore, sono aspetti fondamentali per la qualità della nostra vita ed è davvero triste non svilupparli al loro grado ottimale.

padre Thomas Keating, in dialogo col Dalai Lama

(Tratto da: La meditazione come medicina – Dalai Lama – Kabat-Zinn – Davidson)

Su passi francescani

Nel nostro incontro di sabato scorso abbiamo provato a porci in ascolto dello spirito di s. Francesco d’Assisi.

Partendo dal parco degli Ulivi di Villa Verucchio (Rimini), abbiamo fatto una breve camminata meditata presso il vicino convento francescano.

La frase di s. Francesco che ci ha accompagnato è la seguente, detta a fra Rufino, che tornava dopo un periodo di distacco dovuto a sentimenti negativi verso i fratelli della comunità:

“Lo spirito del Signore, anziché spirito d’amarezza, è spirito di dolcezza e di letizia”
(da: “La sapienza di un povero”, di Éloi Leclerc, Biblioteca Francescana, 1989, pag. 95).

Noi spesso viviamo con amarezza, ma nei nostri incontri sperimentiamo che quando ci poniamo in semplicità, apertura e abbandono, sentiamo fiorire parole e sentimenti belli e positivi. Anche Francesco sentiva così. E’ Dio che si manifesta in noi.

Abbiamo poi sostato in un silenzio contemplativo nella cappellina che sorge proprio dove Francesco si fermò passando da qui. Al termine abbiamo letto il passo successivo alla frase citata, un po’ lungo da mettere qui, ma che conclude così:

“Se noi sapessimo adorare, nulla potrebbe più turbarci. Se sapessimo pregare, percorreremmo la terra con la tranquilla sicurezza dei grandi fiumi”.
S. Francesco d’Assisi

Nella foto il grandioso cipresso del convento piantato da Francesco nel 1213, maestro di solidità e perseveranza.

“Lo chiederemo agli alberi,
come restare immobili,
fra temporali e fulmini,
invincibili”.
Simone Cristicchi – Lo chiederemo agli alberi

Cipresso di s. Francesco - Villa Verucchio (Rimini)

20 anni di Darsi Pace – serata gratuita del 10 ottobre 2019

Nell’ambito delle serate di Obiettivo Benessere Globale:
GIOVEDI’ 10 Ottobre ore 20.30 presso la palestra della coop. soc. La Goccia di Villa Verucchio (Rimini) proietteremo l’incontro di apertura del ventennale di Darsi Pace condotto da Marco Guzzi e con la partecipazione di Simone Cristicchi (Roma, 6 ottobre 2019).

Sarà un momento per approfondire insieme le motivazioni di una ricerca interiore e di un percorso di pratica meditativa.

SIETE TUTTI INVITATI e i BENVENUTI!
I posti sono limitati, preferibilmente prenotate contattandomi.

Salute e ricerca interiore

La ricerca interiore può avere effetti sulla salute? Si tratta di una domanda che molti di noi si pongono quotidianamente.

Credo che la salute sia strettamente correlata a chi siamo e come stiamo interiormente. Per questo non posso fare a meno di pensare che, nella via del benessere (cioè dello “stare bene” in ogni senso), sia necessaria anche una ricerca che vada alle radici della nostra esistenza.

Padre Thomas Keating era un monaco benedettino, grande maestro di meditazione e preghiera contemplativa, morto nel 2018, e in uno dei suoi incontri con il Dalai Lama in cui venivano discussi temi riguardanti la meditazione, la contemplazione e la salute, ha affermato che secondo lui la correlazione è ovvia:

La salute umana è una relazione con la realtà ultima, perché la fonte del nostro essere ci sostiene anche, sempre. Ovviamente, vivere in accordo con la nostra natura interiore genererà salute.

padre Thomas Keating in un dialogo col Dalai Lama (2005). Fonte: La Meditazione come Medicina, Dalai Lama, J. Kabat-Zinn, R. J. Davidson, RCS 2019, pag. 95
Padre Keating col Dalai Lama

La fiducia che “la fonte del nostro essere” ci possa sostenere sempre, cioè non ci abbandoni mai, si può chiamare anche fede.

Gli incontri tra padre Keating e il Dalai Lama ci ricordano che questo concetto appartiene a tutte le forme di credo e pertanto specifica e identificativa della realtà umana.

Quando ce ne dimentichiamo, e ci concentriamo sul nostro “fare” quotidiano, in realtà stiamo dimenticando noi stessi. Allora prima o poi anche il corpo ce lo ricorderà con qualche tipo di dolore o sofferenza. Fermandoci a questo la sensazione sarà di avere, e di essere, un corpo inadeguato e malato.

La salvezza starà nel tonare a noi stessi, all’ascolto e alla ricerca di quella fonte, dimenticando il fare e tornando all’essere, abbandonandosi finalmente alla Vita, a Dio, nel rilassamento interiore che deriva dalla fede.

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.

Salmo 62

Esistono diverse modalità per far questo, basate sull’esperienza, sul credo e sulla cultura. E’ ormai evidente che la meditazione è una pratica che predispone in modo efficace a questo atteggiamento.

Personalmente trovo la pratica meditativa un ottimo punto di partenza per la ricerca interiore. Ci permette di rilassarci, non solo rimanendo vigili, ma anche aumentando la nostra consapevolezza del momento attuale e di noi stessi. Durante la pratica si allentano i pensieri e si intraprende un ascolto, che può diventare molto profondo. Il silenzio diventa maestro.

Niente descrive bene Dio come il silenzio.

Meister Eckhart

A quel punto il fare diventa superfluo, e l’essere progressivamente si fa più presente, in un’esperienza di appartenenza a qualcosa di più grande di noi. Il senso di pace si fa reale, la compassione e la serenità che scopriamo in quella dimensione portano spesso a chiedere: “chi sono?”, “cos’è questa coscienza che va oltre il mio corpo?”, “cos’è questo universo, questa vita, questo grande corpo, di cui mi sento parte?”, “da dove viene questa sensazione di essere amato e di amare tutto ciò che fa parte della vita?”, e così via. La ricerca interiore così rinasce da domande che sorgono spontaneamente, in un’esperienza viva del tutto personale.

L’anima si è un pochino liberata e abbiamo allentato i legami con le cose di questo mondo, in un certo senso “impoverendoci”, un po’ come s. Francesco, il poverello di Assisi, che nell’incontro con Dio ha lasciato (lui davvero!) ogni attaccamento alle cose materiali.

Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.

Vangelo di Matteo 5, 3

La maggior parte di noi, in giovinezza, ha vissuto questi aspetti come concetti calati dall’alto, quindi dai genitori, dal catechismo e dalla pratica religiosa, andando spesso incontro a ribellione e rigetto. Questo probabilmente perché non sentivamo nostre quelle domande, e quindi non potevamo capire le risposte, oppure queste ultime non erano davvero portate ad un livello di vita reale, nemmeno da chi ce le proponeva.

Inoltre abbiamo subito per molti secoli una immagine di Dio alterata, che ha portato a negarlo con forza nella nostra cultura:

“Contro questa immagine oppressiva di un Dio che punisce con crudeltà estrema, di un Dio perverso […] che schiaccia l’uomo , e sta sempre lì nel cielo col dito puntato contro di noi per additare ogni nostro errore e punirlo in modo implacabile […] si è sviluppata in Europa, specialmente negli ultimi due secoli, una ateologia radicale, una profonda negazione di Dio”.

Marco Guzzi, Yoga e preghiera cristiana, ed. Paoline, 2009

Le domande spontanee, che sin da bambini abbiamo posto agli adulti, difficilmente trovavano risposte credibili e concrete, che spesso venivano pure confutate da ciò che si studiava a scuola (ad esempio in storia o in scienze). Mia figlia di 7 anni, per esempio, solo negli ultimi giorni mi ha posto domande come: “perché Dio ci ha creato?”, “chi ha creato Dio?”, “perché moriamo?”. Ovviamente ho cercato di instaurare con lei un dialogo, portando ciò in cui credo, ma allo stesso tempo stimolando la sua curiosità. Quello che mi è sembrato più importante per lei è stato il sentire che io quelle risposte le ho dentro, anche se ammettevo l’enorme mistero che celano. Altro è parlare con il mio figlio maggiore di quasi 12 anni! Per lui è importante ragionare e sentire che può comprendere, che può e deve usare il proprio cuore e la propria mente per raggiungere le vette della profondità interiore. Nel frattempo sa che può contare su di me come colonna sicura sulla quale appoggiarsi, colonna che prima o poi distruggerà per innalzare la propria.

Soprattutto oggi è necessaria un’esperienza molto personale di fede e di ricerca. Lo è sempre stato, ma la nostra epoca ha messo in crisi tutte le religioni e le culture e c’è bisogno di un salto di qualità. Le giovani generazioni, come dice Marco Guzzi, hanno una “radicalità naturale”, che le porta a mettere in discussione qualsiasi concetto per poter andare alla radice delle cose. Aspetto che va sicuramente sostenuto e curato da noi adulti.

Non possiamo quindi più accontentarci di quanto ci viene proposto da voci esterne, anche se la predicazione, la Parola tramandata, e l’annuncio restano pietre fondanti del percorso, senza le quali nessuno sarebbe in grado di raggiungere certi processi, conoscenze, o stati interiori.

Possiamo prenderci cura gli uni degli altri, chi ha più esperienza è guida e aiuto, ma la vera guarigione deve avvenire nel cuore di ognuno, non può essere portata dall’esterno. Si tratta quindi di un percorso che non è fattibile da soli, ma che allo stesso tempo richiede un lavoro personale.

Con la meditazione che diventa anche contemplazione, e se vogliamo preghiera, tutto il nostro essere si predispone alla guarigione. E’ ben dimostrato che praticare la meditazione, la contemplazione e la preghiera, porta a dei benefici psichici e fisici. Ad esempio si riscontra una riduzione dell’ansia e della depressione (entrambe molto diffuse nella popolazione), migliora la tolleranza a ciò che provoca stress, migliorano alcune malattie croniche e sono più efficaci le terapie.

La ricerca interiore è quindi, oltre che un gesto d’amore verso noi stessi e un cammino verso la Verità, un vero e proprio atto di salute.


Per approfondire vedi anche altri articoli di questo sito, ad esempio:

DARSI PACE – i primi 20 anni – 6 ottobre 2019 (Roma)

Darsi Pace è un “movimento di liberazione interiore” fondato nel 1999 da Marco Guzzi e quest’anno compie quindi 20 anni.

Il 6 ottobre si terrà il primo incontro della nuova annualità, che tradizionalmente è aperto a tutti e ad ingresso libero. Questa volta parteciperà Simone Cristicchi e credo sarà un’occasione del tutto particolare.

Personalmente ho iniziato a frequentare Darsi Pace nel 2016, seguendo regolarmente le attività e il percorso proposto. Per me è stato una grande scoperta e sento di essere cresciuto interiormente, e in generale come persona, sotto tanti punti di vista.

In particolare ho avuto modo di comprendere meglio come l’umanità sia arrivata a questo punto, cosa questo possa significare e le sfide che si aprono per il futuro.

La mia interiorità, in senso psichico e spirituale, ha potuto lavorarsi attraverso la pratica meditativa e gli esercizi di autoconoscimento, e arricchirsi con le parole, le meditazioni e le spiegazioni dei formatori, in primis di quell’instancabile e illuminato maestro che è Marco Guzzi.

Consiglio davvero a tutti di conoscere Darsi Pace!

L’incontro del 6 ottobre 2019 si terrà presso l’Università Salesiana (Aula Paolo VI), Piazza dell’Ateneo Salesiano 1, ore 10, ingresso libero.

Per saperne di più visita il sito www.darsipace.it (ricchissimo il canale YouTube raggiungibile dal sito stesso).

La malattia: alla ricerca di un senso

Continua la riflessione sulla malattia… Ecco il mio secondo articolo per il gruppo DarsiSalute, sul sito del movimento Darsi Pace. Qui ci addentriamo alla ricerca di un senso!

Nell’articolo riporto alcuni suggerimenti per allargare la visione a quelle che possono essere le componenti o le “facce” della malattia. Non mi soffermo volontariamente su aspetti medici, ma provo a immergermi in un mondo non sempre conosciuto ed esplorato da chi si occupa di medicina. Sarebbe auspicabile lo facessimo tutti per iniziare ad occuparci veramente di salute e di cura della persona.

Lo schema inserito nell’articolo è tratto da un mio precedente su questo sito in cui ho parlato del modello BioPsicoSociale e di una possibile estensione ad uno BioPsicoSocioSpirituale: L’approccio biopsicosociale in medicina.

Per chi avesse perso il primo articolo: L’abisso della malattia

Uno stato collettivo di disordine profondo


«La nostra civiltà moderna industrializzata, frenetica, angosciosa, reca con sé tutti i germi delle malattie che le assomigliano. Queste, in linea di massima, nascono da uno squilibrio cerebrale in cui l’attività del sistema autonomo risulta affievolita in modo abnorme, mentre l’attività della corteccia cerebrale è intensificata in misura esagerata. […] Tutte queste malattie esigono senza dubbio un trattamento medico specifico. Tuttavia, anche in questo caso, la medicina non accorderà se non una tregua a disturbi la cui origine profonda è di natura esistenziale».

Taisen Deshimaru

Citato in M. Guzzi, La Nuova Umanità, pp. 74-75

Meditazione e cristianesimo

“Autentiche pratiche di meditazione provenienti dall’Oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un’attrattiva sull’uomo di oggi diviso e disorientato, possono costituire un mezzo adatto per aiutare l’orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in mezzo alle sollecitazioni esterne”.

card. Joseph Ratzinger

Fonte: Congregazione per la dottrina della fede, Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana, 1989

Siamo fatti d’amore e per la felicità


Farfalla
Perché la foto di questa farfalla? Questa bellissima creatura è semplicemente sé stessa, non pretende altro. Nella sua coda manca un pezzetto (nota che non è simmetrica, a destra è mozzata): anche questa è una sua caratteristica, che la rende unica, ed è specchio del suo passato, che evidentemente è stato traumatico. Non per questo ha perso la sua natura, continua a vivere nella libertà. Quando riconosciamo la meraviglia di cui siamo fatti, ma anche le difficoltà che ci hanno plasmato, possiamo amarci semplicemente così come siamo.

Tutto ciò che esiste è in relazione col resto dell’Universo, la relazione è in grado di plasmare, e quando crea è amore. Siamo quindi fatti d’amore e pertanto il nostro scopo è essere felici, ma per essere felici dobbiamo essere liberi.

Essere liberi significa poter esprimere totalmente la nostra indole, il nostro spirito interiore, la nostra verità. La paura di sbagliare, essere giudicati o puniti sono tutti ostacoli che sopprimono ciò di cui siamo fatti: l’amore.

“Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,31): per amare il prossimo è necessario che prima impari ad amare te stesso! Non puoi amarti se non sei libero, se non sei nella verità. Infatti “la verità vi farà liberi” (Gv 8,32).

Quando non siamo liberi, veri, e quindi felici, abbiamo sentimenti contrastanti, non riconosciamo noi stessi. In questo soffocamento interiore iniziamo a vivere emozioni negative, che si esprimono nella mente tanto quanto nel corpo. I sintomi di tutto questo diventano un malessere più o meno localizzato, ma spesso generalizzato. Il nostro essere non si esprime più come vorrebbe e a livello psichico insorgono depressione, ansia, conflitto, paura, chiusura e stanchezza. Quella parte bloccata della nostra interiorità si rispecchia in un blocco più corporeo, che a lungo andare può diventare vera e propria malattia.

21 nov. La paura del disumano

biblioterapia

BIBLIOTERAPIA, TUTTALAPAURA DEL MONDO

Come curarsi (o ammalarsi) coi libri. 2015

Il titolo richiama un argomento a cui siamo sicuramente sensibili in particolare in questi giorni…

Sergio Givone, filosofo che da anni indaga il problema del nulla – possibilità di grazia, ma anche di annientamento –, approfondirà La paura del disumano, giungendo a delineare «un pensiero tragico che è, nel medesimo tempo, una filosofia del bene di vivere». Un nucleo centrale del percorso di Biblioterapia 2015, perché «certamente l’angoscia, il senso di finitezza sono una via d’accesso, un varco verso il senso. In realtà o si passa di lì o da nessuna parte» ha spiegato Givone. Che continua: «La nostra finitezza, il nostro dovere di morire ci dicono se la vita ha o non ha senso. Il nostro sentire – provare paura, provare angoscia, provare felicità, provare gioia – ci dicono se la vita ha o non ha un senso». La paura è quindi componente inscindibile dell’esperienza umana. Ma l’odierna crisi dei fondamenti del sapere, la “morte di Dio”, il politeismo dei valori, la possibile fine del genere umano a causa di catastrofi e guerre, aprono all’uomo contemporaneo un orizzonte di paura globale che lo espone al pericolo di perdere la propria umanità, e ci richiama per questo a una più alta responsabilità verso noi stessi e il prossimo. Di fronte al circolo vizioso che dall’insicurezza crescente porta a una violenza dell’uomo verso l’uomo che ha acquistato, forse come non mai, un carattere devastante e scandaloso, possiamo interrogarci su come limitarne i danni, consapevoli che l’uomo viene da un fondo di violenza, che non è soltanto un puro residuo bestiale, ma un fatto culturale. Bisogna quindi fare appello all’etica dell’individuo, ovvero alla nostra coscienza, alla nostra responsabilità nei confronti degli altri. E sopportare le paure e le contraddizioni dell’esistenza continuando a tendere verso il bene «come modo di stare al mondo, custodendo le parole in cui si svela l’umano».

Sabato 21 novembre. Rimini, Sala del Giudizio, Museo della Città, ore 17.

Ingresso a pagamento.

Per info e approfondimenti: http://www.bibliotecagambalunga.it/primo_piano/pagina325.html

L’origine (e il senso) della Vita

tramonto sulla collina_Da dove deriva la vita? In quale ambiente si è sviluppata? Quali sono i materiali che hanno consentito la formazione delle prime molecole biologiche? Sono domande che ogni ricercatore attento si pone, ma a cui è difficile dare risposte. La vita sembra esser nata una volta sola, in condizioni del tutto particolari che non si sono ripetute più. Una volta instaurato il processo, questo si è rigenerato autonomamente e allo stesso tempo si è evoluto.

Ciò che sottende la vita e che genera più stupore nei ricercatori è l’intelligenza che la governa. La coordinazione degli eventi, la capacità di rispondere agli stimoli e all’ambiente, le relazioni tra le varie parti e tra le diverse entità, sono caratteristiche di esseri viventi estremamente semplici, che nell’uomo si esprimono all’ennesima potenza. Studiando le funzioni vitali viene continuamente da chiedersi: come può avvenire tutto questo? Non è possibile concepire una tale complessità senza un’intelligenza che la governi.

Chi crede che la vita si sia creata per caso e che per caso si sia evoluta fino ai giorni nostri commette un errore molto grossolano: il tempo evolutivo a disposizione da quando si è formato l’universo non basterebbe a formare una singola proteina per puro caso! Sarebbe molto più probabile prendere un sacco pieno di lettere e sperare di trovare scritto qualcosa di sensato (e la vita è ben di più di questo) semplicemente scuotendolo e gettandone il contenuto a terra, oppure acquistare un biglietto della lotteria e sperare di vincere due volte il primo premio con lo stesso numero. Pensare che la vita non derivi da un processo intelligente (ovvero “pensato”, “voluto” e “sensato”) è come leggere un libro o una poesia, oppure guardare un’opera d’arte, o ascoltare una musica, e credere che non l’abbia creato un essere dotato di intelligenza. Per di più in questi casi siamo certi che colui che l’ha prodotto è un essere umano, e non un animale, sebbene consideriamo anche quest’ultimo dotato di intelligenza.

Purtroppo è il modo di studiare i sistemi viventi (inserito in un contesto culturale predisponente) che ha portato ad una visione di questo tipo: tutti i processi vitali vengono ridotti a “casuali incontri tra molecole” che provocano “eventi che si susseguono in cascata determinandosi l’un l’altro”. In questo modo si riduce la complessità a complicatezza. Un sistema complicato, come ad esempio un’automobile o una qualsiasi macchina creata dall’uomo, ha dei comportamenti predicibili, perché è smembrabile nelle sue varie parti e comprensibile come somma delle stesse. Un sistema complesso, come una cellula o un organismo pluricellulare, o addirittura l’uomo, non è comprensibile se non studiato nella sua globalità e nel suo ambiente. Cercando di ridurlo a sistema complicato (quindi ad una macchina) perdiamo gran parte del suo significato, e soprattutto l’intelligenza che lo governa.

La biologia cerca di studiare e comprendere il funzionamento degli esseri viventi. Insieme ad essa la chimica, la biochimica e la fisica danno contributi diversi al fine di elaborare modelli di funzionamento dei vari “meccanismi” cellulari. Sono stati studiate le interazioni tra ligando e recettore, le cascate di segnali intracellulari, i segnali ormonali, le membrane cellulari, gli acidi nucleici, le informazioni stoccate nel DNA e il loro utilizzo per la sintesi di proteine, ecc. ecc. Qualcosa di oscuro, però, rimane: come si è creato tutto questo? Come è stato possibile creare molecole così complesse come il DNA, che contiene informazioni su più livelli, le quali una volta utilizzate in modo opportuno (da molecole a loro volta sintetizzate per mezzo dello stesso DNA) danno origine ad altre molecole complesse come le proteine, le cui catene aminoacidiche si autoripiegano al fine di generare forme che determinano funzioni specifiche? Chi governa tutto questo, e come?

Se accettiamo la presenza di un’intelligenza superiore dobbiamo accettare anche che la nostra natura prevede di accordarci con essa. Io identifico tutto questo in una entità che chiamo Dio, l’essere intelligente che ha creato l’universo, dandogli un senso e un percorso.

Ognuno di noi ha la propria individualità, unica e irripetibile, che si può (e si deve) esprimere liberamente, ma trovandosi immersa in un’intelligenza molto più grande e potente, non può fare a meno di relazionarsi con essa, riconoscerla, e in qualche modo allinearsi al suo campo. Tutto questo può spiegare ragionevolmente la nostra origine, ma soprattutto dona senso alla nostra esistenza.


Vedi anche: Acqua, fonte della Vita

Consapevolezza e illuminazione

illuminazioneSei veramente consapevole di ciò che ti succede e di come scegli di agire? La consapevolezza è la capacità di conoscere ciò che sei, a partire dall’ascolto di te stesso, della tua interiorità.

Essere consapevoli significa quindi prima di tutto ascoltarsi. L’ascolto porta alla conoscenza di sé, delle proprie percezioni, dei propri bisogni, delle proprie attitudini.

Questa domanda richiama anche il tanto discusso concetto di libero arbitrio: come scegliamo? La consapevolezza consente di liberarti dai condizionamenti e di agire in piena libertà.

Come aumentare la propria consapevolezza? Esistono molte tecniche ben sperimentate che consentono di farlo, quelle meditative sono le più efficaci.

Perché è necessario aumentare la consapevolezza? Perché è l’inizio di un cammino interiore che può portarti a migliorare i tuoi sintomi fisici (tensioni, malesseri, disturbi funzionali, ecc.) e psichici (paura, ansia, depressione, ecc.) a potenziare le tue capacità di autonomia ed a riscoprire le tue risorse interiori.

Il massimo grado di consapevolezza viene chiamato “illuminazione”, una esperienza estatica di coscienza espansa raggiungibile dai grandi meditatori, che il Sathya Darpana descrive così:

L’esperienza estetica pura (rasah)… è conosciuta intuitivamente, in un’estasi intellettuale non accompagnata da ideazione, al più alto livello dell’essere cosciente; gemella della visione di Dio, la sua vita è come un lampo di luce abbagliante di origine trascendente, impossibile da analizzare, eppure nell’immagine del nostro essere.

[Fonte: Enciclopedia Olistica]

Quando un uomo è felice?


Don Oreste Benzi - foto_Mario_Rebeschini

Qualche anno fa, parlando con Don Oreste Benzi (1925-2007, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, in corso il processo di beatificazione) gli ho chiesto quando, secondo lui, un uomo è felice. Mi ha risposto:

“un uomo è felice quando il suo essere incontra il suo io”.

Poi ha proseguito: “Questo ‘io’ lo conosce veramente solo Dio, e solo attraverso di lui possiamo trovarlo”. Mi sembra davvero un bello spunto per riflettere sul nostro modo di vedere la vita e di cercare la via per la felicità, un modo “ecumenico” di vedere il nostro rapporto con Dio. Nel nostro ”io” si trovano la realizzazione, la felicità, la pace e la serenità di ognuno di noi. Perché non cercarlo assiduamente?

[fonte foto: http://unpastoalgiorno.apg23.org/it/45-Chi_siamo/90-Il_nostro_fondatore/]