Archivi tag: psicosomatica

La malattia: alla ricerca di un senso

Continua la riflessione sulla malattia… Ecco il mio secondo articolo per il gruppo DarsiSalute, sul sito del movimento Darsi Pace. Qui ci addentriamo alla ricerca di un senso!

Nell’articolo riporto alcuni suggerimenti per allargare la visione a quelle che possono essere le componenti o le “facce” della malattia. Non mi soffermo volontariamente su aspetti medici, ma provo a immergermi in un mondo non sempre conosciuto ed esplorato da chi si occupa di medicina. Sarebbe auspicabile lo facessimo tutti per iniziare ad occuparci veramente di salute e di cura della persona.

Lo schema inserito nell’articolo è tratto da un mio precedente su questo sito in cui ho parlato del modello BioPsicoSociale e di una possibile estensione ad uno BioPsicoSocioSpirituale: L’approccio biopsicosociale in medicina.

Per chi avesse perso il primo articolo: L’abisso della malattia

La società della stanchezza


Foto: Hernan Sanchez (unsplash.com)

Molti di noi si sentono spesso affaticati oltre il dovuto. Una stanchezza che può essere sia mentale che fisica, anche se il nostro lavoro è soprattutto di tipo intellettuale. Molti di noi non spostano più, come un tempo, carichi pesanti e non fanno chilometri e chilometri a piedi per andare a lavorare. Eppure siamo stanchi, troppo stanchi. Un’epidemia di stanchezza!

La stanchezza cronica è spesso associata a malessere generale, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione e memoria, umore depresso, dolori articolari o muscolari, sistema immunitario debole o infiammazione cronica, cefalea, ecc. Le persone affette da questo problema vedono i loro sintomi alternarsi a periodi di miglioramento, ma senza che si verifichi mai una risoluzione completa e duratura. Spesso hanno effettuato già molti accertamenti, i quali si sono verificati nella norma o con risultati non ben correlabili ai loro disturbi.

I motivi di questo affaticamento ritengo siano molteplici. Come ben sa chi mi conosce, credo fermamente che non vi sia distinzione tra corpo, mente e spirito. Ecco perché non si può considerare una stanchezza, fosse anche soprattutto o solamente fisica, solo dal punto di vista organico. Insomma, non ci fermeremo a qualche esame di laboratorio o alla misurazione della pressione arteriosa. Abbiamo bisogno di considerare tutta la nostra esistenza, il nostro modo di relazionarci col quotidiano, col prossimo e con noi stessi.

In una condizione di stanchezza cronica senza causa apparente (quindi senza sintomi specifici ne accertamenti già risolutivi per qualche condizione particolare) si possono prendere in considerazione gli spunti che trovate di seguito, sapendo che nessuno (di solito) è sufficiente e tutti sono connessi tra loro. In ogni caso qui troverete solo indicazioni generali, che non possono sostituire la visita e il consulto medico, dai quali pervengono altre informazioni che qui non è possibile descrivere.

Non è ovviamente possibile essere esaustivi su tutti i punti indicati, ma in alcuni trovate dei link ad altre pagine di questo sito per approfondire. Ho intenzione di approfondire alcuni degli aspetti in altri articoli di cui poi riporterò i link in questa pagina.

INDAGARE GLI ASPETTI ORGANICI

Partiamo comunque dal nostro corpo. E’ bene valutare se siamo in una condizione di sufficiente equilibrio, oppure se abbiamo superato un punto di rottura.

Dobbiamo prendere in considerazione in prima battuta (anche se in modo inizialmente semplificato):

  • Alimentazione. Fondamentale nutrirsi in modo adeguato, ovvero avere nutrienti ed energia secondo i nostri bisogni fisiologici, scegliendo materie prime di qualità ed associazioni alimentari adeguate. Vedi gli articoli con TAG “alimentazione”.
  • Idratazione. Deve essere sufficiente, in modo da mantenere la giusta quantità di acqua nel corpo utilizzando quella necessaria alla sua depurazione e al mantenimento della temperatura corporea (sudorazione). Anche il tipo di acqua assunta è importante, perché fornisce minerali e può essere più o meno inquinata.
  • Riposo. Il sonno deve essere sufficiente e di buona qualità.
  • Inquinanti. L’esposizione ad agenti inquinanti richiede un grosso lavoro di detossificazione dell’organismo ed influisce sulle sue attività metaboliche e funzionali. A lungo termine alcuni elementi possono anche determinare vere e proprie malattie.
  • Pressione arteriosa e altri parametri vitali. Sono semplici segni, pertanto non possono essere disgiunti dal resto, ma lo rispecchiano.
  • Esami di laboratorio. Possono rivelare disfunzioni della tiroide, presenza di anemia, alterazione degli elettroliti ematici, alterazioni epatiche o della funzione renale, ipo- o iperglicemia a digiuno, dislipidemie, modificazioni di urine e feci.
  • Funzionalità cardiaca, polmonare, intestinale. Una valutazione di questi organi e degli apparati  di cui fanno parte (inizialmente semplice) può mostrare alterazioni da indagare meglio.
  • Esercizio fisico, postura e funzionamento dell’apparato muscolo-scheletrico. Mantenere il corpo in movimento senza eccessi è essenziale per un buon tono generale fisico e mentale. Perché questo possa avvenire, oltre ad un impegno costante, è necessario valutare che non vi siano impedimenti funzionali, ed eventualmente trovare soluzioni adatte alle proprie condizioni particolari (ce ne sono sempre!).
  • Nella donna: ciclo mestruale, eventuale stato di gravidanza, o menopausa.
  • Altro che potrebbe evidenziarsi durante visita medica.

A questa prima valutazione ne vanno poi eventualmente integrate altre in base ai risultati ottenuti. Ad esempio studio dei  sistemi immunitario ed endocrino (di quest’ultimo fa parte la funzione tiroidea, da indagare al primo livello), approfondimenti cardiologici, gastrointestinali, di laboratorio, ecc.

CONSIDERARE GLI ASPETTI MENTALI E PSICOSOMATICI

Il nostro modo di pensare, di percepire il mondo e di reagire a ciò che ci succede incide molto sul nostro funzionamento generale. Bruciamo tante energie in modo sconsiderato, ma senza rendercene conto, e le conseguenze sono difficoltà di concentrazione, umore depresso, stanchezza mentale e fisica.

Alcuni spunti da considerare inizialmente:

  • Imparare a percepire le tensioni corporee. I muscoli possono avere tensioni più o meno continue (ad es. nelle spalle, nel collo, nel volto, ecc.). Nelle parti interne si possono percepire tensioni (ad es. nel petto, nella pancia, negli occhi, nella gola, ecc.). Queste tensioni corrispondono ai nostri vissuti interiori (emozioni, difese), ma non è detto che ad essi possiamo collegarli così facilmente. Vedi anche: Blocchi psicosomatici.
  • Conoscere i propri meccanismi difensivi. Ognuno di noi ha delle modalità difensive presenti in modo continuo o che si attivano in particolari situazioni. Ad esempio qualcuno è in continua tensione e può diventare aggressivo, qualcun altro eccessivamente anergico e si chiude nel silenzio e nella sottomissione. In ogni caso sono reazioni molto potenti, che richiedono grandi energie fino a depauperarle. Realizzare che abbiamo questi meccanismi e quali sono è un punto di partenza per iniziare a conoscerli e comprenderli, ed infine a togliere loro forza. Non è un percorso breve e tantomeno automatico, ed è bene avere un supporto e un confronto.
  • Sviluppare la consapevolezza di Sé. Questo significa conoscersi meglio, concedersi di lasciare andare le tensioni e le difese, armonizzando così l’attività cerebrale e corporea con la nostra interiorità spirituale più profonda. Nella pratica meditativa si sviluppa gradualmente un’accettazione di ciò che c’è in quel momento, attitudine fondamentale per la crescita interiore ed il benessere generale della persona. Allo stesso tempo ci si concede di rallentare quel ritmo frenetico a cui siamo abituati al giorno d’oggi, sensibilizzandoci a ciò che normalmente non possiamo sentire. Vedi anche: Praticare la consapevolezza (mindfulness) per un benessere globale.
  • Limitare l’utilizzo di apparecchiature elettroniche come PC, tablet, smartphone, TV, videogiochi, ecc. Tutti questi dispositivi utilizzano molte energie mentali e tendono ad irritare il sistema nervoso. Inoltre perdiamo facilmente la consapevolezza del momento presente, fondamentale per il nostro benessere, perché ci proiettano passivamente in dimensioni virtuali.
  • Riconoscere la difficoltà di “non fare” e concedersi momenti di pausa e svago da soli o con i nostri affetti. Spesso siamo presi da mille attività diverse, passiamo da una all’altra in modo frenetico e confuso. Non riusciamo a concederci momenti di vero “stacco”, perché siamo bombardati da sms, mail, tv, lavoro, diventando estranei a noi stessi e a coloro che ci sono più vicini. Proviamo a considerare la stanchezza come richiesta esplicita di un ritorno a noi e alle nostre necessità più umane, naturali e reali.
  • Riconoscere che abbiamo necessità di modificare qualcosa nella nostra vita in modo da concederci di essere ciò che siamo. Prova a rispondere a queste domande: Come sono io? Quali sono i miei desideri più profondi? Dove mi sento forzato, costretto, e lontano dal mio essere più vero? Ti consiglio di scrivere le risposte.
  • Considerare il proprio stato emotivo di fondo. Quando la stanchezza eccessiva è associata ad un umore fortemente depresso, alla mancanza di energie interiori e di voglia di fare, all’evitamento delle relazioni, e all’impossibilità di provare piacere nel fare qualsiasi cosa, allora è bene parlarne col proprio medico e farsi aiutare.

 

CONCLUSIONI

Questo percorso non può che essere molto graduale, senza forzature che creerebbero solo nuove tensioni e ulteriori difficoltà. E’ opportuno confrontarsi, avere supporto, e in alcuni momenti anche una vera e propria guida.

Se tutto questo ti sembra eccessivo inizia dal punto che riconosci meglio possa fare al caso tuo e sperimentalo. Se, al contrario alcune cose ti appaiono come scontate, non farci caso e passa alle altre!

La stanchezza cronica quindi richiama la persona ad un’attenzione maggiore verso se stessa. Questo significa cercare nuovi modi per volersi bene nel modo di nutrirsi, impegnarsi e pensarsi. Non esiste una medicina o un singolo trattamento per la stanchezza, la valutazione deve essere ampia in modo che possa evidenziare i punti più importanti sui quali cominciare a lavorare.

Psicosomatica, stile di vita e tumori: prevenire si può!

ape su fioreUna delle preoccupazioni più grandi delle persone che incontro è quella di sviluppare malattie. Spesso riscontro poca fiducia nel funzionamento del proprio organismo e, oso dire, anche nella vita stessa. Al contrario, tanta fede viene riposta nella medicina preventiva e negli esami diagnostici, ma anche nella potenziale cura farmacologica.

Senza togliere nulla ai grandi risultati dei mezzi che oggi abbiamo a disposizione, non dobbiamo dimenticarci della capacità del nostro corpo di autogestirsi e autoregolarsi e della responsabilità che abbiamo nella cura di noi stessi. Questo significa dare fiducia alla vita (inteso in tutti i sensi) e accorgersi allo stesso tempo che essa è nelle nostre mani. La Natura sa cosa fare e come farlo, credo che la fotografia possa esprimerlo: tutto appare sano e rigoglioso.

Sviluppo delle malattie

Per quanto importante possa essere curarsi appropriatamente in caso di malattia, si tratta sempre di qualcosa che facciamo “in ritardo”. La prevenzione vera (primaria) è quella che arriva in tempo per evitare lo sviluppo della malattia stessa.

Non amo pensare che una malattia sia un difetto dell’organismo, mentre sono convinto che sia il risultato di una complessa interazione tra svariati fattori: ambiente, personalità, alimentazione, stile di vita,  emozioni, cura del sonno, predisposizione, ecc.

La genesi di una malattia è complessa almeno quanto la persona stessa. Aumentare la consapevolezza di Sé significa accorgersi di come si sta vivendo e poter correggere il tiro sulla base di un sentito profondo, che può essere soltanto vero, oltre che unico per quella specifica persona. In questo senso la psicosomatica può venirci in aiuto e darci gli strumenti per affrontare la conoscenza di noi stessi e attuare cambiamenti dove necessario.

I tumori

Lo sviluppo di un tumore è rappresentato da una prima alterazione cellulare che la porta ad una moltiplicazione ripetitiva, senza controllo, creando un tessuto anomalo. Questo tessuto col tempo può occupare eccessivamente spazio alterando localmente l’organismo, produrre sostanze tossiche ed eventualmente disseminarsi in altre aree del corpo (metastasi).

Normalmente una cellula alterata viene riconosciuta e distrutta dal sistema immunitario, per cui non è possibile che si moltiplichi. La funzionalità di questo sistema è pertanto fondamentale ed esso è ampiamente connesso a tutti gli altri sistemi dell’organismo, come ben descritto dagli studi di PsicoNeuroEndocrinoImmunologia. Alimentazione, eventuale integrazione, e gestione dello stress sono la base per un suo funzionamento ottimale, necessario anche in caso di malattia conclamata.

Un tumore può svilupparsi più facilmente in un ambiente molto sollecitato da infiammazione e stimoli ormonali eccessivi. Anche qui il nostro modo di essere, di comportarci, e di interagire col mondo (alimentazione compresa) sono essenziali.

Stili di vita anti-cancro

Lo stile di vita è rappresentato da abitudini e scelte che attuiamo ogni giorno. Oggi è ben documentato quanto questo possa influenzare la nostra salute e, in particolare, possa contribuire a prevenire malattie cardiovascolari, tumori e diabete. La stessa proprietà viene attribuita anche alla pratica regolare della mindfulness, che può entrare a far parte a pieno titolo dello stile di vita della persona.

La AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) propone 10 punti fondamentali per uno stile di vita anti-cancro. Fermo restando quanto ho espresso e considerando quanto aggiungo in conclusione, mi trovo molto d’accordo sulle proposte descritte, tutte basate su evidenze scientifiche. Le riassumo brevemente di seguito, rimandando alla pagina specifica dell’associazione per la descrizione.

  1. Mantenersi snelli per tutta la vita
  2. Mantenersi fisicamente attivi tutti i giorni
  3. Limitare il consumo di alimenti ad alta densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate
  4. Basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non industrialmente raffinati e legumi in ogni pasto e un’ampia varietà di verdure non amidacee e di frutta
  5. Limitare il consumo di carni rosse ed evitare il consumo di carni conservate
  6. Limitare il consumo di bevande alcoliche
  7. Limitare il consumo di sale (non più di 5 g al giorno) e di cibi conservati sotto sale. Evitare cibi contaminati da muffe (in particolare cereali e legumi)
  8. Assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrienti essenziali attraverso il cibo
  9. Allattare i bambini al seno per almeno sei mesi
  10. Nei limiti dei pochi studi disponibili sulla prevenzione delle recidive, le raccomandazioni per la prevenzione alimentare del cancro valgono anche per chi si è già ammalato

Cosa manca a questo decalogo (in parte sul sito AIRC sono descritte altrove):

  • evitare il fumo
  • praticare la mindfulness giornalmente
  • praticare esercizi di energetica almeno 2-3 volte la settimana
  • mantenere rapporti sentimentali stabili, evitare rapporti sessuali occasionali e non protetti
  • evitare farmaci e sostanze non assolutamente necessari
  • bere acqua abbondantemente

Tutto questo ha un senso più profondo quando riusciamo a vivere la vita nell’ascolto di noi stessi, con fiducia, gioia e libertà.


Nota bene: Questo articolo, come gli altri di questo sito, è volutamente semplificato e non ha la pretesa di spiegare approfonditamente le cause delle malattie, la loro prevenzione e la loro cura. Pertanto non sostituisce il consiglio o il parere medico.

L’approccio biopsicosociale in medicina

Le origini

George L. Engel
George L. Engel

George Libman Engel (1913-1999), professore di psichiatria e medicina per oltre 50 anni presso l’Università di Rochester (New York), nel 1977 richiamava, in un articolo apparso sulla rivista «Science», alla necessità di un nuovo modello medico (Engel, 1977). L’approccio biomedico, forte delle grandi scoperte e delle conseguenti innovazioni diagnostiche e terapeutiche del XX secolo, si stava concentrando sul corpo del paziente, lasciando volontariamente problemi e bisogni di tipo psicologico e sociale allo studio e alla cura di altre discipline.

Il medico, secondo questo approccio, doveva concentrarsi sulle malattie “reali”, quelle che si possono riscontrare attraverso segni, sintomi, esami di laboratorio e strumentali.

La psichiatria, nata come specialità della medicina che si occupa delle patologie mentali, si stava dividendo in due branche, almeno all’apparenza opposte: l’una che seguiva il nuovo modello biomedico, l’altra che procedeva distaccandosene completamente. La branca biomedica della psichiatria vedeva le malattie mentali come conseguenza di alterazioni patologiche delle funzioni del sistema nervoso centrale e quindi curava con farmaci, atti chirurgici, o altri interventi strumentali come l’elettroshock.

Engel, che era internista e psichiatra, annunciava «una crisi di tutta la medicina», a causa della «aderenza ad un modello centrato sulla malattia che non è più adeguato ai compiti scientifici ed alle responsabilità sociali sia della medicina che della psichiatria» (Engel, 1977).

Dichiarava inoltre:

«La crisi della medicina deriva dall’inferenza logica che porta a definire la “malattia” solo in termini di parametri somatici, cosicché i medici non sono tenuti ad occuparsi delle istanze psicosociali in quanto queste ricadrebbero al di fuori della responsabilità e dell’autorità della medicina».

Engel aveva iniziato a interessarsi alla medicina psicosomatica nel 1941, producendo negli anni successivi molti lavori riguardanti la psicosomatica, lo sviluppo psicologico e l’integrazione mente-corpo. Fu solo nel sopraccitato articolo del 1977 che propose alla comunità scientifica e medica un nuovo modello chiamato biopsicosociale, ovvero un approccio che, oltre agli aspetti biologici delle malattie, comprendesse anche quelli psicologico-comportamentali e quelli socio-relazionali.

Il modello biomedico e i suoi limiti

La biomedicina è diventata, nella cultura occidentale, non solo una base per lo studio scientifico della malattia, ma anche la specifica prospettiva culturale del concetto stesso di malattia. Secondo Engel:

«Il modello biomedico è così diventato un imperativo culturale e le sue limitazioni sono state semplicisticamente trascurate. In breve, il modello ora ha acquisito lo status di dogma».

(Engel, 1977)

biomedicinaLa necessità di spiegare in termini scientifici le alterazioni somatiche, comportamentali e sociali dei malati ha portato progressivamente a considerare il corpo completamente distinto dalla mente. Inoltre l’organismo sarebbe una macchina scomponibile in parti isolabili, da cui l’assunto che l’intero possa essere compreso, sia materialmente che concettualmente, ricostruendone le parti costituenti. La mente, insieme ai processi psicologici e sociali, non farebbe parte del campo applicativo della medicina, anche perché non studiabile attraverso il paradigma biomedico.

Le patologie vengono spiegate attraverso alterazioni misurabili di variabili somatiche e sono correlate principalmente a cause fisiche. Viene applicato un principio di causalità lineare e si mira a trovare una causa primaria delle patologie, anche attraverso la scomposizione dell’individuo in parti sempre più piccole (come nella medicina genetica e molecolare) (Baldoni, 2010). In questo modello medico si parla di cause delle malattie, di cofattori e di condizioni predisponenti legati tra loro da relazioni di causa-effetto.

Da questi presupposti è nata la nosografia moderna, che classifica le malattie secondo la sede anatomica o istologica, quindi le alterazioni anatomo-patologiche o biochimiche e la fisiopatologia (Federspil, 1993). La malattia è quindi diventata un’entità discreta, con precisi criteri diagnostici, non definibile in assenza di perturbazioni a livello biochimico o istologico.

Un riduzionismo insensato

Lo sviluppo di conoscenze in questo campo ha portato a un enorme avanzamento nello studio del corpo umano, quindi dell’anatomia, della fisiologia e degli aspetti organici della patogenesi delle malattie, ma ha indirizzato la ricerca medica verso una scomposizione sempre più minuziosa delle varie componenti, formando specialisti sempre più attenti alla singola parte piuttosto che al tutto.

holman
Halsted R. Holman

 

Questo modello di stampo riduzionista ha consentito quindi importanti progressi in medicina, ma i suoi limiti sono legati sia ad aspetti diagnostico-valutativi che, conseguentemente, ad aspetti terapeutici.

Halsted R. Holman, professore di Medicina presso l’Università di Stanford, ha criticato fortemente il riduzionismo, sottolineandone i limiti e l’inadeguatezza della formazione medica. Citato da Engel (1977), affermava:

«Sebbene il riduzionismo sia uno strumento di comprensione potente, crea anche profondi fraintendimenti quando viene applicato in modo insensato. Il riduzionismo è particolarmente pericoloso quando giunge a negare l’impatto di condizioni non biologiche sui processi biologici. […] Alcuni risultati dei trattamenti medici sono inadeguati, non a causa della mancanza di appropriate tecniche d’intervento, ma perché il nostro modo di pensare è inadeguato».

Genetica e ambiente

Una malattia come il diabete mellito, se è considerata esclusivamente dovuta a deficit relativo di insulina, viene trattata con il reintegro esogeno di questo ormone (ed altri interventi collaterali finalizzati alla stessa funzione), mirando a correggere l’alterazione biochimica di base (la glicemia), considerando il trattamento efficace se questa rientra in limiti prestabiliti e se a lungo termine vengono ridotte le complicanze microvascolari, macrovascolari e neurologiche.

Vi sono anche altri fattori che incidono sulle manifestazioni e sull’evoluzione delle malattie, altrimenti non sarebbe presente la ben nota variabilità individuale. Su quest’ultimo aspetto la biomedicina si concendnatra su variabili genetiche e ambientali, talvolta non ben definite, quindi poco utilizzabili al di fuori di considerazioni statistiche.

Per poter studiare il peso dell’ambiente e della genetica su una determinata patologia, vengono spesso prese in considerazione coppie di gemelli omozigoti. Barnett, Eff, Leslie, e Pyke, per esempio, nel 1981 hanno studiato 200 coppie di gemelli identici, identificando una forte concordanza nello sviluppo del diabete mellito tipo 2 (praticamente del 100% nell’arco della vita), attribuendogli così una forte predisposizione genetica (Barnett et al., 1981). In studi come questo viene supposto che da uno stesso DNA debba esserci la medesima predisposizione alla malattia, quindi il fatto di svilupparla o meno, deve necessariamente essere determinato dall’ambiente. Secondo i dati dello studio sopraccitato, nel caso del diabete mellito tipo 2 (DM2), l’ambiente avrebbe un peso solo sull’età di comparsa delle alterazioni legate alla malattia, perché se un gemello risultava portatore di diabete, anche l’altro prima o poi lo avrebbe sviluppato. Se ne concludeva che la predisposizione genetica era molto forte.

Secondo questo modo di interpretare la patogenesi delle malattie, esistono quindi fattori genetici predisponenti, ai quali viene dato forte risalto rispetto a tutto il resto che viene genericamente definito “ambiente”. Sotto il cappello “ambiente” compaiono il contesto sociale e culturale, lo stile di vita, e tutto un insieme di fattori intrinseci all’esistenza della persona come per esempio i traumi psicologici. Quando viene proposta la correlazione tra questi singoli fattori e l’incidenza di una malattia, si parla di patogenesi multifattoriale, ampliando da un lato la prospettiva, ma restando fermamente legati ad un approccio riduzionista e determinista. Non vengono in genere considerati fattori più strettamente psicologici, come la personalità, il comportamento di malattia e i disturbi mentali. Tutti elementi che vengono confinati a studi in ambito psicologico o psichiatrico.

Dal punto di vista terapeutico, i fattori ambientali, ad eccezione dello stile di vita, non vengono generalmente presi in considerazione e acquisiscono di conseguenza una sembianza di immodificabilità. Si punta piuttosto a «studiare le basi molecolari delle alterazioni precoci, e sviluppare terapie mirate contro di esse» (Leahy, 2005), giusto per citare uno dei tanti articoli scientifici che si rifanno strettamente al modello biomedico.

Predisposizione genetica o regolazione genetica?

uomo dnaAd oltre 30 anni dallo studio di Barnett, l’avanzamento delle tecniche e delle conoscenze nel campo della genetica molecolare ha consentito di riconoscere l’enorme numero di geni (e dei loro prodotti) che interagiscono nella regolazione del metabolismo (in generale, e più nello specifico di quello glucidico), suggerendo una predisposizione genetica molto complessa per il DM2 (Siddiqui et al., 2013), e allo stesso tempo un difficile, se non impossibile (almeno per ora) calcolo a priori del suo peso reale nello sviluppo della malattia.

Oggi sappiamo che il DNA non è un contenitore di informazioni rigido come una lastra da stampa che determina copie di un libro sempre uguali, ma è un sistema di informazioni plastico, la cui espressione può essere regolata diversamente tra gli individui e nello stesso individuo, attraverso processi epigenetici. Questo con le dovute riserve verso casi con effettive mutazioni grossolane della catena, causa di ben note patologie genetiche. Anche in queste ultime, però, le manifestazioni della patologia e la sua evoluzione possono essere molto differenti tra diversi individui affetti. Il DNA è sicuramente un forte fattore nella determinazione di ciò che siamo e ciò che diventeremo, ma invece di ritenerlo il risultato di una copia stampata, potremmo considerare che questo libro, letto ed interpretato da ciascuno di noi, acquisisce una peculiare espressione, in grado anche di mutare nel tempo.

Fattori biologici, psicologici e sociali in salute e malattia

biopsychosocial_eng_pier-luigi-masini
The BioPsychoSocial model

modello-biopsicosociale_pier-luigi-masini
Il modello BioPsicoSociale

La condizione di malattia non è caratterizzata solamente da valterazioni somatiche. Sono presenti anche aspetti psicologici legati ai sintomi, al ruolo di malato, alla medicalizzazione della vita, così come modificazioni nelle relazioni sociali, nella capacità di lavorare e nell’autonomia. Questi fattori possono a loro volta incidere su evoluzione e prognosi della patologia, attraverso l’interpretazione del problema e le strategie di coping peculiari di ciascun individuo.

Fattori biologici, psicologici e sociali interessano continuamente e in maniera complessa ognuno di noi. Questo avviene in uno stato di salute e completo benessere, e allo stesso modo anche in caso di malattia.

Lo stato di salute dell’individuo, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), è uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale (WHO, 1948), visione che si inserisce appieno in un approccio biopsicosociale (in realtà questa definizione ha preceduto il modello proposto da Engel, facendo parte della Costituzione dell’OMS del 1948). La promozione della salute, quindi, non può fermarsi agli aspetti fisici, ma richiede anche una valutazione di quelli sociali e mentali, i quali, come schematizzato in figura, interagiscono tra loro in maniera complessa.

Il modello BioPsicoSocialeSpirituale per un Benessere Globale

Una definizione ancora più ampia (e decisamente più recente) viene dal rapporto 2010 della “Commissione Salute” dell’Osservatorio Europeo su Sistemi e Politiche per la Salute, che definisce la Salute:

«lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di benessere, che consente alle persone di raggiungere e mantenere il proprio potenziale personale nella società».

BioPsychoSocialSpiritual model for a Whole Wellness
BioPsychoSocialSpiritual model for a Whole Wellness

Modello BioPsicoSocioSpirituale per un Benessere Globale
Modello BioPsicoSocioSpirituale per un Benessere Globale

Si può parlare quindi di un modello BioPsicoSocioSpirituale. Questo apre ad una visione olistica della persona, in salute e in malattia, che tratterò in un prossimo articolo. Non si parla più di “salute”, ma di “benessere globale”, perché quest’ultimo non è solo l’assenza di malattia, ma un concetto che richiama a qualcosa che possiamo sempre migliorare.

Esperienze precoci

Variabili psicologiche e sociali interessano l’individuo sin dall’infanzia, a partire dalla sua prima relazione, quella con la madre, considerata la più importante nello sviluppo.

famigliaLa relazione madre-bambino è in grado di influenzare i futuri comportamenti della persona, quindi anche i suoi rapporti interpersonali e sociali. Questo forte legame inizia già durante la gravidanza, e per certi aspetti sin dal concepimento (Baldoni, 2010; Engel, 1962). C’è un ovvio rapporto biologico tra i due e questo già di per sé è una relazione, che inizia con segnali puramente umorali, ma poi si intensifica con lo sviluppo degli organi sensoriali e motori del feto. La voce e i movimenti materni, come le variazioni nelle concentrazioni ematiche di fattori neuro-ormonali, inviano segnali al concepito, il quale può manifestare la sua presenza in seguito allo sviluppo del sistema motorio. Così i movimenti intrauterini del feto possono scatenare intense reazioni emotive nella madre, con risposte che egli progressivamente può percepire. Se da un lato l’apparato psichico fetale è sicuramente ancora poco sviluppato, dall’altro è in piena maturazione, e questa può essere influenzata dalla relazione con la madre.

Studi sull’attaccamento familiare hanno dimostrato anche un’importante influenza del padre sulla relazione madre-bambino e lo sviluppo psicosomatico del figlio sin dal momento del concepimento (Baldoni e Ceccarelli, 2010).

Considerare quindi il momento del parto come il “punto zero” della vita, rappresenta una limitazione alla comprensione dello sviluppo psicosomatico dell’individuo. Gemelli separati alla nascita hanno condiviso, oltre che il patrimonio genetico, almeno la vita intrauterina e la concomitante relazione con la madre. Gemelli rimasti nella famiglia di origine per tutta l’infanzia sono ancora più legati da fattori psicosociali e relazionali, considerando inoltre che hanno vissuto le stesse situazioni negli stessi momenti dello sviluppo, cosa che non accade per esempio in fratelli di età diverse.


Vedi anche in questo sito:

La psicosomatica

La PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI)


Bibliografia

Baldoni, F. (2010). La prospettiva psicosomatica. Bologna: Il Mulino.

Baldoni, F., e Ceccarelli, L. (2010). La depressione perinatale paterna. Una rassegna della ricerca clinica ed empirica. Infanzia e adolescenza, 9(2), 79–92.

Barnett, A. H., Eff, C., Leslie, R. D., e Pyke, D. A. (1981). Diabetes in identical twins. A study of 200 pairs. Diabetologia, 20(2), 87–93.

Engel, G. L. (1962). Medicina psicosomatica e sviluppo psicologico (trad. it.). Bologna: Nuova casa editrice L. Cappelli spa, 1981.

Engel, G. L. (1977). The Need for a New Medical Model: A Challenge for Biomedicine. Science, 196(4286), 129–136.

Federspil, G. (1993). Voce «Nosografia» – Enciclopedia Italiana – V appendice (1993). Treccani.

Leahy, J. L. (2005). Pathogenesis of type 2 diabetes mellitus. Archives of medical research, 36(3), 197–209.

Osservatorio Europeo su Sistemi e Politiche per la Salute – Rapporto 2010 della “Commissione Salute”.

Siddiqui, A. A., Siddiqui, S. A., Ahmad, S., Siddiqui, S., Ahsan, I., e Sahu, K. (2013). Diabetes: Mechanism, Pathophysiology and Management – A review. Int. J. Drug Dev. & Res., 5(2), 1–23.

WHO. (1948). Preamble to the Constitution of the World Health Organization as adopted by the International Health Conference, New York, 19-22 June, 1946; signed on 22 July 1946 by the representatives of 61 States and entered into force on 7 April 1948. New York.

Le tecniche psicosomatiche

Considerare l’essere umano sotto il profilo psicosomatico significa vederlo come una unità, formata da psiche, corpo, relazioni sociali e spiritualità. Per prendersene cura bisogna quindi curare tutte le sue componenti, ovvero curare la persona piuttosto che la sua malattia o i suoi sintomi.

Ogni sintomo fisico ha un riscontro psichico, e un ascolto attento permette di comprendere come non sono uno la causa dell’altro, ma segni di un insieme che ha perso la sua armonia, in altre parole è venuta a mancare l’integrazione delle sue componenti.

Quando percepiamo dolore in un’area corporea viviamo un’esperienza sensoriale spiacevole, che porta ad un vissuto emotivo dalle sfumature più diverse, spesso caratterizzato da tensione, preoccupazione, svalutazione, ma che può diventare anche rabbia, paura, ecc. La colorazione emotiva del sintomo è del tutto soggettiva e legata allo specifico contesto in cui viene provato. Il significato che abbiamo imparato a dare alle nostre sensazioni corporee e alle nostre emozioni dipende largamente dal rapporto con le figure di riferimento dell’infanzia, particolarmente da quello con nostra madre.

Come possiamo quindi agire terapeuticamente considerando tutto questo? Uno dei primi passi è il riconoscimento di ciò che proviamo a livello corporeo. Per poterlo fare è necessario uno spazio di ascolto e consapevolezza sufficientemente profondo. In questo spazio è possibile ottenere una progressiva integrazione delle componenti dell’individuo, il cui rapporto era stato fratturato da un’esperienza traumatica.

Di seguito riporto un accenno alle principali tecniche psicosomatiche che utilizzo. Si tratta, nella maggior parte dei casi e più in generale nel loro utilizzo d’insieme, di tecniche dalla comprovata efficacia e senza effetti collaterali. Vi sono numerosissimi studi scientifici, in particolare sulla mindfulness, che riportano miglioramenti dell’ansia, della depressione, dei sintomi fisici cronici, delle tensioni, dei pensieri ossessivi, degli attacchi di panico, del senso di appartenenza alla società, delle relazioni, della gestione delle emozioni, del rendimento scolastico o lavorativo, della capacità di concentrazione e attenzione, dell’empatia, dell’intelligenza emozionale, ecc.

  1. La tecnica base è la Mindfulness psicosomatica che consente di entrare in uno spazio di consapevolezza più profondo, attraverso l’ascolto del respiro nelle varie parti del corpo e in tutto il corpo insieme. Questo particolare stato corrisponde a evidenze scientifiche riguardanti la sincronizzazione dell’attività delle varie aree del cervello, riduzione dell’attività cerebrale ad alta frequenza (onde beta, corrispondente al pensiero e all’autocontrollo), aumento dell’attività a bassa frequenza (onde alfa, theta, delta). Il respiro è il principale strumento della psicosomatica: rivitalizza il corpo, scioglie le emozioni bloccate, apre la mente e risveglia la coscienza. Sin dall’antichità l’equilibrio psicosomatico e spirituale è stato associato al “respiro globale”.
  2. Il Body-scan psicosomatico è la tecnica che porta a sviluppare prima una maggior sensibilità corporea, poi anche quella più sottile, che potremmo definire energetica. Si tratta di una esplorazione corporea effettuata attraverso la focalizzazione dell’attenzione e del respiro, mentre ci si trova in stato di consapevolezza profonda. Questo porta a riconoscere e imparare ad esprimere il proprio percepito attraverso forme, colori, e altre caratteristiche.
  3. Il Disegno psicosomatico è una modalità espressiva di traduzione delle sensazioni in immagine disegnata su carta. La persona trova così il modo di “fotografare” il suo attuale stato di consapevolezza corporea.
  4. Gli esercizi di energetica stimolano la consapevolezza corporea anche attraverso il movimento. La piacevolezza del movimento delle tecniche “dolci” aiuta a riscoprire l’armonia del corpo nella sua interezza, mentre la decisione delle tecniche “forti” irrobustisce il senso di presenza, forza e sicurezza della persona.
  5. L’uso della voce permette in maniera semplice di riconoscere e stimolare varie aree corporee, dalla pancia, al torace, alla gola, alla testa, al corpo intero.
  6. Il massaggio olistico consente di migliorare la percezione di aree corporee bloccate, di liberarne le tensioni e facilitarne il ripristino del flusso energetico.

Vedi anche:

Progetto Gaia – Benessere Globale

benessere

Il “Progetto Gaia – Benessere Globale” è un programma di promozione della salute psicofisica promosso dalla APS Villaggio Globale di Bagni di Lucca che, partendo dalla “consapevolezza di se stessi” e da semplici tecniche psicosomatiche, può migliorare lo stress, l’ansia e la depressione, aiutando a rispondere alle sfide di questo momento critico di transizione verso una società globalizzata. Il “Progetto Gaia” è nato per essere applicato nelle scuole, mentre il “Progetto Benessere Globale” è pensato per il lavoro con gli adulti in sedi extrascolastiche, ma condividono le finalità anche se con diversi adattamenti specifici.

Le finalità educative di questi progetti sono di trasmettere delle conoscenze e delle pratiche che, partendo dall’esperienza della “consapevolezza psicosomatica”, possano sviluppare una differente percezione di se stessi e della relazione con gli altri sviluppando benessere, pace interiore e sociale, e consapevolezza di Sé. Alla base di questo progetto ci sono i valori etici, le basi scientifiche, mediche, psicologiche e culturali, avanzate negli ultimi decenni da scienziati e pensatori, di ogni cultura per sviluppare nelle persone una consapevolezza più adatta ai bisogni e le sfide di questo momento critico di transizione verso una società globalizzata.

Obiettivi del Progetto Gaia – Benessere Globale

  1. Sviluppare una maggiore consapevolezza psicosomatica di Sé (corpo ed emozioni)
  2. Migliorare il benessere psicofisico riducendo lo stress, l’ansia e la depressione
  3. Migliorare il rendimento scolastico/lavorativo e l’attenzione, riducendo l’irrequietezza e la tensione
  4. Gestione delle emozioni e contenimento della reattività e degli impulsi (autoregolazione)
  5. Migliorare il clima, la condivisione e la cooperazione di gruppo (classe o team)
  6. Offrire una base di informazioni etiche, scientifiche e culturali per una cittadinanza globale
  7. Educazione alla sostenibilità e ai diritti umani per una cittadinanza globale (UNESCO)

Destinatari del Progetto

  • Bambini (dalla scuola d’infanzia in poi) e ragazzi in ambito scolastico o extra-scolastico
  • Adulti in ambiti aggregativi, team di lavoro, strutture residenziali, ecc.
  • Particolare attenzione è rivolta a persone disagiate e a rischio
  • Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado (formazione)

Per approfondire

Presentazione pdf ufficiale del progetto Gaia

Una proposta per le scuole: il progetto Gaia

Sito ufficiale del Progetto Benessere Globale: www.benessereglobale.org

Sito ufficiale del Progetto Gaia: www.progettogaia.eu

Il dott. Pier Luigi Masini, avendo conseguito la formazione specifica, è un conduttore di gruppi benessere basati su questo metodo e propone il percorso in modo completamente gratuito.

Per richiedere informazioni andare alla pagina Contatti, oppure per conoscere l’organizzazione dei prossimi gruppi consultare la sezione Eventi.

27-28 feb. Emozioni e relazioni

villaggio-globaleLa qualità delle nostre relazioni con gli altri, il rapporto con noi stessi e il nostro mondo emozionale sono alla base della qualità del nostro vivere. Nel rapporto con gli altri e nei nostri vissuti emozionali possiamo riconoscerci ed esprimerci armoniosamente oppure rimanere amareggiati, tesi, depressi, fino al disagio. In questo laboratorio cominceremo a riconoscere alcuni degli schemi automatici che utilizziamo, sia nell’idea che abbiamo di noi stessi che nelle relazioni. Vedremo come alcune emozioni ci siano facilmente accessibili mentre altre rimangono inespresse. Inizieremo a riconoscere l’origine di alcuni condizionamenti che ci portano ad agire con modalità ripetitive e stereotipate, impedendoci di essere noi stessi.

Con la dott.ssa Silvia Ghiroldi, presso il Villaggio Globale di Bagni di Lucca.

Per info: www.villaggioglobale.eu

Rimozioni

2000px-Italian_traffic_signs_-_rimozione_forzata.svgNella rimozione di un auto da parte del carro attrezzi la vettura sembra non essere più presente, in realtà è solo stata spostata in un luogo che non conosciamo, dove non la vediamo. Allo stesso modo i meccanismi di difesa psicosomatica spostano i vissuti nel nostro inconscio e non ci fanno sentire le sensazioni corporee ad essi associati.

Registriamo tutto ciò che viviamo, lo elaboriamo più o meno efficacemente, ne traiamo insegnamento e ne siamo condizionati. Eppure spesso non ricordiamo ciò che ci è successo, non ne sentiamo i condizionamenti e nemmeno le emozioni associate. Talvolta non sentiamo le emozioni mentre ci succede qualcosa che ci dovrebbe toccare nel profondo.

Il processo di rimozione ci consente di allontanare dalla coscienza dei vissuti spiacevoli, al fine di non sentirne il peso e di non viverne continuamente le emozioni associate. In realtà i vissuti restano in uno spazio inconscio di noi stessi, e si manifestano all’esterno attraverso il corpo. Ad esempio la postura di una persona, le sue espressioni, i suoi sintomi, il suo modo di respirare, le sue modalità espressive, la temperatura e il colore della sua pelle nelle varie zone corporee, sono segni esteriori delle sue esperienze passate, che si sono condensate nel suo carattere, nella sua personalità, e nel suo funzionamento psicosomatico. Esistono anche segni interni che il medico può valutare attraverso l’esame obiettivo corporeo, esami di laboratorio, o esami strumentali. Queste manifestazioni possono essere chiamate anche blocchi psicosomatici.

E’ solo psicologia? No, anche le manifestazioni corporee dei blocchi psicosomatici possono essere rimossi. Si tratta di un livello più profondo di rimozione, che mette maggiormente a rischio la nostra salute, perché perdiamo completamente la percezione di ciò che ci sta accadendo.

Entrando in uno stato di consapevolezza più profondo possiamo tornare in contatto con i vissuti rimossi. Questa pratica consente di far riemergere ricordi, emozioni e sensazioni, di rielaborarli, di dar loro nuovo significato in base al vissuto presente, e di farli tornare nella memoria liberati del loro valore emotivo. In questo modo, oltre a prendere consapevolezza di quanto quel ricordo potesse influenzarci, comprendiamo meglio anche il nostro funzionamento psicosomatico.

In realtà non si tratta di soli vissuti negativi o dolorosi. Alcune persone tendono a “dimenticarsi” (o a non vivere pienamente) anche le esperienze positive, come quelle legate alla gioia o al piacere di esistere. Riuscire a riprendere contatto con queste esperienze è una delle modalità per iniziare a vivere più positivamente.

Prendere consapevolezza di questi blocchi è il primo passo per superarli e dirigerci verso una salute più prospera e piena!


Vedi anche: Blocchi psicosomatici

Blocchi psicosomatici

Il concetto di “blocco energetico” è presente nelle antiche medicine tradizionale cinese e indotibetana. Difficile, per persone di cultura occidentale che non hanno ancora approfondito questi temi, comprendere cosa possa significare. Se consideriamo la vita-vitalità come un flusso di energia¹, il “blocco” è l’ostruzione della sua circolazione nella persona. Come nel flusso d’acqua di un fiume possono esistere accumuli (a monte di un blocco) e carenze di energia (a valle del blocco). Un accumulo di energia può manifestarsi con dolore, infiammazione, ipersensibilità, mentre una carenza con una zona fredda, iposensibile, rallentata.

Secondo una visione più moderna, basata sulla PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia), il blocco può essere interpretato come un eccesso o un difetto dell’intensità dell’espressione dei comportamenti istintivi, emozionali e psicologici (Montecucco, 2010, pag. 184). Questo determina uno squilibrio nel sistema PNEI, con conseguenze che possono andare dal livello psichico a quello corporeo, con infinite sfumature in mezzo che comprendono entrambi.

L’individuo in equilibrio prova piacere nell’esistere, sia in senso corporeo che in senso psichico. E’ libero da tensioni e dolore, tutto il suo sistema “persona” è ben integrato, funzionale.

Il “blocco psicosomatico” è quindi una mancanza di armonia in questo sistema, e può essere localizzato in varie parti del corpo, con corrispondenze sul piano psichico ed energetico², e specifiche conseguenze sul comportamento della persona.

Ogni persona ha una propria sensibilità, che si è plasmata soprattutto durante il periodo intrauterino (gravidanza) e nell’infanzia, attraverso il rapporto con le figure di attaccamento, la madre in particolare.

I blocchi psicosomatici sono in relazione al tipo di sensibilità del sistema nervoso, ma si potrebbe dire che sono in relazione al tipo di anima; con un’anima molto evoluta la persona si ammala di più, perché anche una piccola cosa che non va viene registrata più intensamente, proprio perché è sensibile e vorrebbe vivere situazioni più profonde e armoniche del normale.

Montecucco, 2010, pag. 266

Note

  1. La materia stessa è energia, quindi il sangue che circola nei vasi è anche un flusso energetico, oltre al fatto che porta nutrienti, calore, cellule immunitarie, metaboliti. Qui però si parla soprattutto di energie più sottili.
  2. Il livello energetico verrà approfondito in atri post più specifici.

Bibliografia

Montecucco F., Psicosomatica olistica, ed. Mediterranee, 2010


Vedi anche:

La psicosomatica

PsicosomaticaLa divisione tra corpo, mente e anima operata nei secoli scorsi da correnti filosofiche, scientifiche e religiose si è sedimentata nella nostra cultura. Non siamo abituati a pensarci come esseri unitari, tendiamo a considerare il nostro corpo come qualcosa che non ci appartiene pienamente, quasi un goffo vestito che ci siamo ritrovati addosso senza volerlo. Quando questo è malato diventa pesante e doloroso, fastidioso e insopportabile, inefficiente e difettoso. Oggi sentiamo la mente, ed in particolare la sua parte più razionale, come ciò che ci rappresenta veramente, siamo degli esseri degni di rispetto perché pensiamo, calcoliamo, desideriamo, progettiamo, comunichiamo. “Cogito ergo sum” (“penso dunque sono) diceva Cartesio (1596-1650) , la cui dicotomica visione filosofica è considerata fondamento e partenza della scissione di cui stiamo parlando. Se possiamo concepire separati mente e corpo tendiamo a pensare che lo sono realmente: questa prospettiva porta a vedere il corpo come fosse una macchina.

La medicina occidentale è divenuta così strettamente incentrata sugli aspetti puramente biologici-biochimici, seguendo un metodo che oggi è riconosciuto come inappropriato.

Nel bene e nel male questa visione ha favorito una tendenza meccanicista e determinista che ancora oggi è alla base del pensiero scientifico occidentale.

(Baldoni, 2010, pag. 17)

alexander
Franz Alexander

La psicosomatica propriamente detta è nata alla fine dell’Ottocento (il termine è stato coniato da Franz Alexander negli anni ’30 del ‘900), come corrente di pensiero che proponeva l’esistenza di forti connessioni tra mente e organismo. Vennero così studiate le influenze della mente, delle esperienze psichiche e di quelle emotive, su stati fisici e malattie, tentando di ricostruire una visione unitaria dell’essere umano.

Il problema della psicogenesi è legato all’antica dicotomia psiche contro soma. Fenomeni psicologici e somatici si manifestano nello stesso organismo come due aspetti di un unico processo. Alcuni determinati processi fisiologici vengono soggettivamente percepiti dall’organismo vivente come sensazioni, idee, impulsi. Come già si è detto, questi particolari processi fisiologici possono essere studiati nel modo migliore col metodo psicologico, che si occupa delle percezioni soggettive suscitate dai processi fisiologici stessi e comunicate attraverso il linguaggio. Fondamentalmente, dunque, l’oggetto degli studi psicologici e di quelli fisiologici è il medesimo; diverso è il metodo.

(Alexander F., 1951, pag. 43)

Questo ha portato inizialmente a definire alcuni stati patologici come “malattie psicosomatiche”, ovvero determinati da disturbi mentali o traumi psicologici. Purtroppo ancora oggi il termine “psicosomatica” viene da molti inteso con questa accezione, riferendosi in genere a disturbi funzionali (cioè disturbi fisici in cui non si riscontrano rilevanti alterazioni organiche).

L’evoluzione del pensiero psicosomatico è andato molto oltre, fino a comprendere che tutta l’esistenza dell’uomo è psicosomatica. Quindi tutte le malattie, in questo senso, sono psicosomatiche: malattie fisiche determinano malessere psicologico, problemi mentali portano a disturbi fisici.

Il dolore, per esempio, è un esperienza con una forte componente psichica, sebbene possa derivare da una condizione puramente fisica (come nel caso di un trauma), ma rimane sempre del tutto soggettiva.

A parità di stimolo nocicettivo, l’esperienza dolorosa è profondamente diversa a seconda del significato soggettivo che il dolore ha per l’individuo.

(Ercolani M., 1997)

Quando siamo preoccupati, ansiosi, o arrabbiati viviamo questi sentimenti come tensioni muscolari, mal di pancia, senso di peso al petto, e così via. In psicosomatica queste manifestazioni vengono anche chiamate “blocchi”. La cronicizzazione delle tensioni può portare ad alterazioni importanti nella funzionalità e nella struttura corporea, fino a diventare vera e propria malattia.

Anche la salute è quindi una questione psicosomatica: non esiste un vero benessere fisico con un malessere mentale e viceversa.

Il corpo non è solo un fenomeno biologico, ma anche una costruzione mentale graduale e complessa che si sviluppa, inizialmente, soprattutto all’interno della relazione con la madre. […] L’idea che abbiamo del nostro corpo si modifica per tutta la vita e varia nelle condizioni di salute e di malattia.

(Baldoni, 2010, pag. 14)

Il modello biopsicosociale è nato dalla brillante mente di George L. Engel, medico internista e psichiatra che decise di dedicarsi alla psicosomatica ed allo studio di un approccio sistemico alla persona, arricchendo così il campo di tutto il mondo di relazioni della persona e dei suoi rapporti con la società (il lavoro, la scuola, le aspettative sociali, ecc.).

La crisi della medicina deriva dall’inferenza logica che porta a definire la “malattia” solo in termini di parametri somatici, cosicché i medici non sono tenuti ad occuparsi delle istanze psicosociali in quanto queste ricadrebbero al di fuori della responsabilità e dell’autorità della medicina. […] Il modello biomedico è così diventato un imperativo culturale e le sue limitazioni sono state semplicisticamente trascurate. In breve, il modello ora ha acquisito lo status di dogma.

(Engel, 1977)

biopsychosocial_eng_pier-luigi-masinimodello-biopsicosociale_pier-luigi-masini

L’essenza di questo modello non sta tanto nel considerare variabili psicologiche e sociali insieme a quelle biologiche, ma soprattutto nell’apprezzarne le strette connessioni, all’interno di un approccio sistemico, contrapposto ad una visione determinista di stampo biomedico. La persona è qualcosa di indivisibile, considerarne la cura del solo corpo, o della sola mente, significherebbe snaturarla. Questa visione costituisce un punto di incontro tra discipline che hanno in comune la cura della persona, ma che sono storicamente distinte, come la medicina e la psicologia. Non è necessario che il medico, soprattutto se non ne ha le competenze, sconfini nel campo d’azione dello psicologo, ma non può nemmeno delegare totalmente a questi la responsabilità di considerare aspetti non prettamente fisiologici.

Nel processo di guarigione non può mancare la valutazione del peso di tutti questi fattori, che hanno un forte peso su uno stato di malattia. Del resto anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) lo ha riconosciuto:

La salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia o infermità.

(WHO1948)

La PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) può essere considerata una delle espressioni più moderne, scientifiche, ed ampie della psicosomatica e del modello biopsicosociale. Si occupa di mettere in luce tutti i collegamenti e le interazioni tra i vari apparati e sistemi dell’organismo, psiche compresa, attraverso le evidenze scientifiche ottenute dalle ricerche biomediche e psicologiche.


Vedi anche in questo sito:


Bibliografia

Alexander F. (1951), Psychosomatic medicine, New York, Norton & Co., 1950; trad. it. Medicina psicosomatica, Firenze, Marzocco, 1951

Baldoni F. (2010). La prospettiva psicosomatica. Bologna: Il Mulino.

Ercolani M. (1997), Malati di dolore – Aspetti medici e psicologici del paziente con dolore cronico. Bologna: Zanichelli

Engel G. L. The Need for a New Medical Model: A Challenge for Biomedicine. Science, New Series, Vol. 196, No. 4286 (Apr. 8, 1977), pp. 129-136

WHO. (1948). Preamble to the Constitution of the World Health Organization as adopted by the International Health Conference, New York, 19-22 June, 1946; signed on 22 July 1946 by the representatives of 61 States and entered into force on 7 April 1948. New York.

26 ott. – Il corpo non mente


Il corpo non menteDAL CORPO ALLA RELAZIONE – LA VERITA’ CI FARA’ LIBERI

Un’approccio multidisciplinare per scoprire com’è possibile partire dal corpo e arrivare alla relazione sottolineando l’importanza della presenza dei genitori come mediatori attivi e consapevoli per una crescita dei propri figli, in ogni ambito della loro vita.

Incontro rivolto ai genitori e ai ragazzi della scuola media inferiore e superiore. A cura di un medico e di uno psicologo dell’ass. La Filigrana.

Centro per le famiglie – Rimini

26 ottobre 2015 – ore 20.45

Vedi tutti gli eventi del Centro per le famiglie di Rimini

Quale alimentazione terapeutica?

La nostra alimentazione è uno dei mezzi con cui assumiamo dall’esterno le sostanze di cui abbiamo bisogno. E’ un modo di interagire con il resto del mondo: inglobiamo e trasformiamo i prodotti della natura, ne estraiamo le componenti a fini energetici, metabolici e strutturali.

Oggi si parla molto di “alimentazione terapeutica” (o nutraceutica), ovvero dello studio di diete particolari che potrebbero contribuire al miglioramento (o addirittura alla guarigione) di determinate condizioni patologiche, anche coadiuvando altri mezzi terapeutici. Tutti sappiamo che la dieta può avere anche effetti negativi, per esempio sovrastimolando alcuni sistemi o tessuti del nostro organismo, oppure determinando carenze alimentari.

Una dieta appropriata è sicuramente un ottimo punto di partenza per una vita in salute, o per avviarsi verso la guarigione, ma quello che mangiamo non è l’unico cibo.

Alimenti della nostra vita sono anche le relazioni interpersonali e sentimentali, il lavoro e lo studio, la luce e la visione, il suono e la musica, il contatto e il movimento corporeo, l’aria e la respirazione, la preghiera e la meditazione, le emozioni e i sentimenti, il rapporto col cibo e col pasto (compreso il gusto e l’olfatto)… e tanto altro. Dimenticarsi di queste componenti vitali significa snaturarsi e rischiare di perdere importanti spunti terapeutici e salutari.

“Siamo ciò che mangiamo” (Ludwig Feuerbach) è vero se allarghiamo il concetto a tutto ciò che costituisce la nostra “alimentazione vitale”. In fondo, ciò che ci insegnano la medicina olistica e psicosomatica, in linea con la filosofia di Feuerbach, è che non c’è distinzione tra mente e corpo: l’alimentazione dell’una si ripercuote sull’altro, e viceversa.


Vedi anche: Mangiar sano… in 7 punti psicosomatici

Dove risiede la coscienza?


PertCandace

E’ opinione comune, ma anche di molti studiosi, che la coscienza risieda nel cervello. Certo, sappiamo che la funzionalità di quest’organo è essenziale per essere coscienti, ma avviene tutto esclusivamente dentro alla scatola cranica?

Candace Pert, neuroscienziata e farmacologa statunitense che ha dimostrato l’esistenza dei recettori per gli oppioidi, il sito di legame cellulare per le endorfine nel cervello, in seguito ai suoi studi su neurotrasmettitori ed emozioni ha dichiarato:

Io non posso più fare una rigorosa distinzione tra cervello e corpo […] i dati delle ricerche […] indicano che è necessario intraprendere uno studio dei modi in cui la coscienza può essere proiettata nelle differenti parti del corpo.

Vedi: Candace Pert, Molecole di emozioni, Tea Libri, 2007.

[fonte foto: http://likesuccess.com/author/candace-pert]