Oggi, 3 maggio, è la Giornata Mondiale per la Libertà di Stampa. Credo molto in questo principio, e sono molto grato verso chi, con grande coraggio e responsabilità, svela e spiega fatti che rimarrebbero nell’oscurità, e in tal modo favorirebbero il persistere di azioni ed atteggiamenti che vanno contro il bene comune e la crescita dell’umanità.
Lo hanno fatto e continuano a farlo i giornalisti, anche a rischio della propria vita, e nel nostro Paese non mancano gli esempi. Anche recentemente alcuni giornalisti sono stati minacciati di morte, come riferisce il report del Consiglio d’Europa (continuamente aggiornato su: https://www.coe.int/en/web/media-freedom). Attualmente sarebbero 20 i giornalisti italiani che vivono sotto scorta per questo motivo.
La nostra Costituzione (art. 21) e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 19) sanciscono la libertà di stampa e di espressione come un diritto fondamentale di tutti.
In questo periodo di pandemia la discussione si è accesa particolarmente. Sono stati pubblicati contenuti con notizie ed affermazioni fortemente contrastanti riguardanti il coronavirus (chiamato dagli scienziati SARS-COV-19), la malattia che può causare (COVID-19) e tutto ciò che vi gira attorno.
Bisogna considerare che, in campo sanitario, una informazione errata può mettere a rischio la vita di tutti. Questo, a mio parere, non significa che si debba favorire, o addirittura forzare, un unico canale di informazione ufficiale. La pluralità e la libertà sono alla base dei diritti che oggi si riaffermano e di una informazione più veritiera e corretta.
Tutto ciò non va confuso con la libertà di pubblicare qualsiasi cosa senza il minimo senso critico, senza coerenza, o lasciandosi orientare puramente da principi di parte o di convenienza. Le notizie che non rispecchiano la realtà, piene di inesattezze che possono generare confusione, fino a quelle palesemente false, vanno in qualche modo identificate e rettificate. Questo fa parte dei doveri di ogni giornalista, come previsto dall’art. 4 del Codice Deontologico dei Giornalisti Italiani.
Gli addetti ai lavori hanno reclamato per le informazioni palesemente scorrette sul coronavirus (anch’io l’ho fatto in alcuni casi), e le autorità hanno deciso addirittura di formare delle “task force” per identificare le notizie errate ed poter censurare i contenuti incriminati. Le piattaforme social (come Facebook, YouTube, Instagram, Twitter, ecc.) si sono attivate per eliminare contenuti ritenuti inesatti. Questo atto è stato giudicato gravissimo, come dichiarato da molti giornalisti, e riportato anche da Giulietto Chiesa il 25 aprile scorso, nella sua ultima dichiarazione prima di lasciare questa vita (https://youtu.be/QvQxMUwb7dM).
Dal blog dell’Avv. Daniele Ingarrica (https://www.consigliolegale-blog.com/2017/10/09/diritto-corretta-informazione-fake-news/) si evince che non esiste un vero e proprio diritto all’informazione corretta. Si legge comunque che “secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 112 del 1993, il giornalista è tenuto ad assicurare ai cittadini un’informazione: qualificata e caratterizzata da obiettività, imparzialità, completezza e correttezza; dal rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori nonché dal pluralismo delle fonti cui [i giornalisti] attingono conoscenze e notizie in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni, avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti”.
Siamo continuamente tempestati di notizie e affermazioni contrastanti e cangianti, abbiamo bisogno di una informazione corretta e il più possibile veritiera!
Una valida discussione sull’informazione scientifica l’ho trovata nella diretta Facebook di ieri di Federico Boem, filosofo della scienza, sulla pagina dell’ass. Culturale J.F. Kennedy di Rimini. L’incontro aveva il titolo “Convivere con l’incertezza. Il ruolo del pensiero critico: informazione e ricerca scientifica“. Boem sostiene che la scienza è un processo che appartiene ad una comunità (la comunità scientifica), e come tale cresce progressivamente, correggendosi, giustificandosi e confermandosi ripetutamente, attraverso pochi successi che si basano su tantissime sconfitte. La ricerca scientifica non riporta verità, cerca invece di fornire conoscenza e ridurre l’incertezza, con la quale siamo comunque tenuti a convivere.
Perché crediamo alle notizie errate e le diffondiamo sui nostri social? Secondo Boem può essere un fatto di pigrizia mentale: le notizie vengono fornite in grande quantità, facilmente reperibili e “non digerite”. Inoltre l’acquisizione di nuove informazioni parte spesso da posizioni di forte chiusura, sia da parte di singoli che di gruppi di persone o comunità. Boem ha distinto tra “bolle epistemiche”, in cui l’atteggiamento è caratterizzato da una scelta di fonti ristretta a cui si riconosce la massima autorità (non una vera e propria chiusura), e “camere di risonanza” in cui invece ci si rafforza vicendevolmente sulle posizioni prescelte escludendo categoricamente quelle che divergono dalle nostre (una forte chiusura in questo caso).
Per formare un pensiero critico, quindi, l’apertura mentale è sicuramente un aspetto basilare. Questo credo valga sia nel recepire l’informazione che nel produrla: favorire pluralità e libertà di informazione ed evitare allo stesso tempo il diffondersi di notizie affrettate e fuorvianti, come accade in molti casi di divulgazione attraverso i social.
Un’altro fattore importante, sempre secondo Boem, sarebbe la pazienza. La scienza ha i suoi tempi e risultati affrettati sono poco affidabili.
Da ultimo, cosa che condivido in pieno, è fondamentale il controllo delle fonti. Quanto è affidabile chi ci informa? In ogni caso, ricorda ancora Boem, anche il singolo scienziato, avesse pure un Nobel, non può avere più credibilità o autorevolezza dell’intera comunità scientifica. I risultati si ottengono insieme, e non per scalate solitarie.